“Ricominciamo insieme”: abbiamo affrontato la tempesta gettando semi di bene

Foto di Giovanni Diffidenti

Non è fatta solo di numeri la storia del fondo “Ricominciamo insieme” creato dalla diocesi di Bergamo con Caritas attraverso i fondi stanziati dalla Cei con l’Otto per mille per l’emergenza legata al covid-19 e grazie al sostegno di Intesa San Paolo. Non c’è solo il totale impressionante di 3.850 domande presentate, a ognuna delle quali corrisponde una storia, una persona, una famiglia. Oltre il 70% ha ottenuto una risposta positiva e un contributo: “Un segno – spiega un’operatrice della Caritas – di quanto sia stato forte sul nostro territorio l’impatto della pandemia”.

La storia di questo fondo è fatta di volti, di semi di bene deposti nel territorio fertile delle comunità locali. Piccoli e grandi gesti che hanno generato speranza, sorrisi, nuovi legami di fraternità.

La Caritas è sempre in prima linea, ma la pandemia ha innalzato l’emergenza a livelli inimmaginabili. “Ho parlato con tante persone – racconta l’operatrice -, a volte piangevano e mi raccontavano tutta la loro disperazione. Parlavano delle bollette che non riuscivano a pagare, delle preoccupazioni per i figli, delle malattie che non potevano curare perché gli ospedali erano sovraccarichi di pazienti covid. Mi sono trovata immersa in tutto l’universo di solitudine in cui siamo precipitati per colpa del coronavirus”.

In alcuni settori, come in quelli che dipendevano dall’attività dell’aeroporto di Orio al Serio, molti dipendenti hanno perso tutto: “Prima – osserva l’operatrice Caritas – avevano redditi anche di 1.500 euro e le ultime buste paga erano ridotte praticamente a zero. Una delle situazioni più gravi che abbiamo affrontato riguarda un gruppo di 50-60 operai che lavoravano nello scarico e carico dei bagagli in una cooperativa della Bassa”.

Anche nel settore della ristorazione l’urto della tempesta è stato violento: “Ci sono categorie finite in ginocchio, come i lavapiatti, i camerieri, tutti i lavoratori del settore della ristorazione. Il primo lockdown ha avuto un forte impatto su tutti, il secondo, da quando è stato consentito l’asporto, soprattutto sul personale di sala”.

Altre difficoltà, particolarmente drammatiche, hanno segnato le famiglie che hanno subito un lutto: “C’è chi ha perso una persona, il padre, la madre, il marito, la moglie che era l’unico percettore di reddito. Non si trattava necessariamente di anziani, ma anche di numerosi quarantenni. Le loro famiglie sono rimaste per mesi senza aiuti prima di poter ottenere un sostegno economico o una pensione”.

Gli stranieri sono stati particolarmente colpiti per il tipo di lavoro che svolgono: “Hanno perso il lavoro persone con bassa specializzazione, precarie, magari appena assunte”. Fra le categorie più colpite c’è stata quella dei lavoratori degli spettacoli viaggianti, i giostrai: “Si sono trovati bloccati nei territori in cui avevano portato le giostre per sagre, feste o fiere. Sono dovuti rimanere fermi per mesi, e di fatto non hanno ancora potuto riprendere la loro attività. Normalmente questi lavoratori sono invisibili e non appartengono a nessuno, portano con sé il loro lavoro. Nella nostra provincia erano decine di famiglie e non avevano nemmeno da mangiare. Si è attivata una rete di sostegno, ci hanno chiesto aiuto e abbiamo cercato in prima battuta di rispondere all’emergenza con i pacchi di viveri, poi con altri aiuti. Sono persone che stanno vivendo di niente”.

Le richieste d’aiuto continuano ad arrivare alla Caritas anche se l’attività del fondo “Ricominciamo insieme” è terminata e ci vorrà ancora un po’ di tempo prima dell’avvio della nuova iniziativa “Occupiamoci” che si impegnerà a ricollocare le persone rimaste senza lavoro durante l’emergenza. “Non abbiamo ancora un’idea chiara dell’impatto alla pandemia”.  Ci sono tante povertà emergenti, come quelle che riguardano la scuola, le richieste di strumenti digitali per la didattica a distanza, oppure la povertà sanitaria. La Caritas ha dovuto sospendere le attività dell’ambulatorio dedicato agli indigenti durante il periodo del covid: “Quando l’abbiamo riaperto sono arrivati molti pazienti che avevano atteso rimandando le cure perché non avevano un altro modo per sostenerle, così si sono spesso trovati in una situazione molto più seria e più complessa”.

Quando Bergamo era il fronte più esposto della battaglia contro il covid-19, le attività della Caritas, per quanto possibile, sono proseguite: “Tutto intorno a noi, però, sono venuti a mancare i nostri interlocutori abituali: i servizi specialistici, i servizi sociali. Abbiamo convertito i dormitori in case alloggio per consentire anche a chi viveva per strada di avere un posto dove stare al sicuro, abbiamo sperato che nessuno si ammalasse perché era diventato difficile rivolgersi agli ospedali. Ci siamo resi conto che non potevamo risolvere i problemi di tutti, potevamo soltanto offrire un po’ di conforto, l’aiuto di cui eravamo capaci. Abbiamo dovuto anche sopperire alla distribuzione dei pacchi viveri dei Centri di ascolto delle parrocchie cittadine che erano gestiti da persone anziane, in quel momento troppo a rischio. Abbiamo attivato un centralino telefonico per gestire le richieste di tutte le persone in condizioni di povertà che avevano bisogno di generi di prima necessità”.

La pandemia ha chiesto di mettere in moto uno stile e un metodo nuovo: “Noi lavoriamo stando vicino alle persone, improvvisamente dovevamo mantenere le distanze, disinfettare, indossare le mascherine, qualcuno si è ammalato, abbiamo cercato di arrangiarci e fare fronte ad ogni situazione, per quanto difficile. Sono mancate persone che ci erano vicine, abbiamo attraversato tanto dolore ma è stato un periodo che ha avuto anche lati positivi. Ci ha costretti per esempio a metterci a nudo, a riscoprirci fragili di fronte alla fragilità di tutti. Poi però abbiamo continuato più forti di prima, abbiamo sperimentato che possiamo contare gli uni sugli altri. Questo periodo ci ha dimostrato che il risultato è sempre maggiore della somma delle parti”. 

Sono nate nuove forme di vicinanza: “Ogni anello della catena del sostegno è stato importante, ha generato nei territori delle parrocchie un’animazione sociale e di carità che prima non c’era, sono nati meccanismi virtuosi, hanno dimostrato alle comunità di poter essere vicine agli altri in modi prima mai sperimentati, sono stati gettati i semi della prossimità, della carità, ma soprattutto la gente ha capito che chiunque può trovarsi in difficoltà, senza averne colpa. Il virus è stato democratico, ha colpito tutti, ha fatto soffrire tutti”.

Foto di Giovanni Diffidenti