La visita del Papa in Iraq. Intervista al giornalista e storico Marco Clementi

Papa Francesco visiterà dal 5 all’8 marzo l’Iraq, dove farà anche un pellegrinaggio alla città di Ur, città natale di Abramo riconosciuto come patriarca della fede in un solo Dio da ebrei, cristiani e musulmani, da tempo desiderato dal Santo Padre per il dialogo e la ricostruzione dei rapporti con il Paese. 

Dopo quindici mesi durante i quali il Santo Padre è stato costretto a sospendere i viaggi apostolici nazionali e internazionali a causa della pandemia, Bergoglio tornerà a viaggiare, questa volta in Asia occidentale, e sarà il primo pontefice a mettere piede in Iraq

San Giovanni Paolo II aveva programmato di andare in Iraq nel 2000 ma le tensioni, il diniego di Saddam e i problemi diplomatici alla fine resero impossibile il viaggio. 

Siete tutti Fratelli” è il motto, tratto dal Vangelo di Matteo, della visita di Papa Francesco in Iraq, il cui logo raffigura il Papa nel gesto di salutare il Paese, rappresentato in mappa e dai suoi simboli, la palma e i fiumi Tigri ed Eufrate. Il logo mostra anche una colomba bianca con un ramoscello di ulivo nel becco, simbolo di pace, volare sulle bandiere della Santa Sede e della Repubblica dell’Iraq. A sovrastare l’immagine, il motto della visita riportato in arabo, curdo e caldeo. 

Marco Clementi, giornalista e storico, inviato del Tg1, da noi intervistato, è già stato in Iraq e seguirà da vicino i momenti salienti e più emozionanti della missione di Bergoglio in questo martoriato Paese.

Quali saranno le tappe più importanti della trasferta di Papa Francesco di quattro giorni nelle terre di Abramo, culla delle religioni monoteiste? 

«Quattro giorni intensissimi, che sembra siano due settimane per la quantità di importanti appuntamenti che attendono Bergoglio. Questo viaggio è stato fortemente voluto dal Santo Padre, annunciato in passato e in stand-by per un anno a causa della pandemia. È significativo il fatto che questo sia il viaggio della ripartenza, il primo dopo più di un anno. Quattro giorni nei quali il Papa toccherà tutti gli aspetti dell’Iraq. Il 5 marzo, il primo giorno, il Pontefice incontrerà i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i seminaristi e i catechisti nella cattedrale siro-cattolica di “Nostra Signora della Salvezza” a Baghdad, teatro nell’ottobre del 2010, di un grave attentato durato tante ore. Morirono cinque terroristi, quarantotto fedeli, due sacerdoti. Questo sarà il primo incontro pubblico con i cristiani, sempre nel rispetto dei vincoli imposti dalla pandemia. I due giorni successivi, il 6 e il 7 marzo, il Papa toccherà tutti gli aspetti dell’Iraq. Il Santo Padre dapprima partirà in aereo per Najaf, nel cui aeroporto si svolgerà la visita di cortesia, importante dal punto di vista politico, al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husaymi Al-Sistani. Poi la partenza in aereo per Nassiriya, (città nel cuore dell’Iraq dove il 12 novembre del 2003 avvenne il tragico attentato in cui morirono 50 persone, 25 italiane), per l’incontro interreligioso presso la Piana di Ur. Nel pomeriggio a Baghdad vi sarà la Messa nella cattedrale caldea di “San Giuseppe”. La mattina del 7 marzo il Papa partirà in aereo per Erbil, nel nord del Paese, nel cui aeroporto è prevista l’accoglienza delle autorità religiose e civili della regione autonoma del Kurdistan iracheno. Subito dopo la partenza in elicottero per Mosul, sede del Califfato ma anche terra di cristiani e di martirio, dove il Papa reciterà una preghiera di suffragio per le vittime della guerra, presso Hosh al-Bieaa (piazza della Chiesa). Francesco riprenderà al termine l’elicottero alla volta di Qaraqosh, per la visita alla comunità locale, alla quale indirizzerà un discorso, seguito dall’Angelus, nella chiesa dell’Immacolata Concezione. Nel pomeriggio ancora trasferimento a Erbil, dove il Pontefice  celebrerà la Messa nello Stadio “Franso Hariri”,  dove sono attese circa diecimila persone con distanziamento, in uno stadio che abitualmente ne può contenere trentamila. Lunedì 8 marzo la partenza da Baghdad per Roma. Durante il viaggio aereo sicuramente Bergoglio stilerà un bilancio della trasferta in  una conferenza stampa con i giornalisti che lo seguono a bordo». 

Prima della caduta di Saddam i cristiani erano quasi un milione e mezzo, oggi sono solo quattrocentomila, costretti alla fuga da guerre e persecuzioni. “La visita del Papa è un atto di coraggio che ci porta speranza”, commenta il cardinale Louis Raphaël I Sako, patriarca della Babilonia dei caldei. Bergoglio ancora una volta viaggia per manifestare vicinanza ai cristiani perseguitati? 

«Sì, certamente, questo è il primo motivo del viaggio papale. Ho avuto modo di incontrare il cardinale Sako, ci siamo conosciuti a Bari nel febbraio 2020 durante l’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, presenti i vescovi cattolici dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. C’è chi dice che i cristiani siano meno di quattrocentomila, nonostante ciò, i cristiani “sono” l’Iraq. Sako mi disse che rappresentano l’identità irachena, come tante altre identità, pensiamo ai curdi nel nord del Paese. Ricordiamo che lo Stato Islamico fu proclamato proprio nella città di Mosul, nella zona più cristiana dell’Iraq, dove i cristiani sono stati, sterminati, martirizzati e cacciati. L’Iraq è una nazione che da decenni aspetta la visita di un pontefice, Giovanni Paolo II desiderava andarci nell’anno 2000, ma allora non fu possibile. Poi ci fu la guerra nel 2003. Ora arriva Papa Francesco e potete immaginare l’attesa e la speranza nel popolo cristiano. Un viaggio fortemente voluto da Bergoglio in una terra martoriata da tantissimi sanguinosi attentati, nell’ultimo anno ne sono stati rivendicati 1420, con 2700 vittime. L’Iraq è un Paese armato, dove imperversano le milizie. Questo è il contesto, l’Isis sconfitto sul campo, sembra silente, ma non lo è per niente. Tutto questo non ferma il Papa, ha detto che è pronto anche a partire con un volo di linea, se servisse, e non ferma le speranze dei cristiani e dei loro pastori che attendono il Papa rinnovando l’invito quotidianamente dicendo: “Il Papa verrà e noi siamo pronti ad accoglierlo”».  

Il patriarca latino di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, commentando la visita papale, ha sottolineato: “Una grande sfida, perché la pandemia si sta spandendo anche in Iraq e dubito che a marzo saranno tutti vaccinati. È un bel gesto di solidarietà verso il mondo cristiano iracheno, che ha sofferto tantissimo e che da trent’anni è sotto continua pressione”. L’Iraq rappresenta il cuore di tutti i problemi di una regione problematica come il Medioriente? 

«Sì, lo sono anche la Siria e l’Iran, è un’intera regione a soffrire, tensioni politiche, religiose, perché la religione è pretesto per conflitti, lo è contro i cristiani e all’interno dell’Islam. Questa è una zona in cui sciiti e sunniti combattono da secoli. L’incontro politicamente più importante del viaggio è quello che si svolgerà il 6 marzo a Najaf con l’Ayatollah Al-Sistani, la più alta autorità sciita irachena, figura importantissima all’interno della comunità sciita. Novantenne, Al-Sistani ha sempre predicato una religione non vista in termini teocratici, la religione non deve essere la legge dello Stato, diverso per esempio dalla posizione di Khomeini, in Iran. Pensate quindi alla ricaduta di questo viaggio di Papa Francesco all’interno dei conflitti dell’Islam, una visita che sarà sicuramente seguita con attenzione anche in Iran. Durante l’incontro-chiave di questo viaggio in Iraq, a Najaf probabilmente ci sarà la firma di Al-Sistani a quel documento sulla fratellanza che venne siglato due anni fa, il 4 febbraio del 2019, quando Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar firmarono la Dichiarazione di Abu Dhabi, un forte invito a riscoprirsi fratelli per promuovere insieme la giustizia e la pace, garantendo i diritti umani e la libertà religiosa. A Najaf dunque vi sarà un altro passaggio fondamentale di pacificazione nel percorso di Papa Francesco. Non dimentichiamo che l’ultima enciclica papale è dedicata alla fratellanza. Fratellanza anche tra le religioni. Un viaggio storico, anche perché Papa Francesco sarà il primo pontefice a visitare l’Iraq».

Marco Clementi, immagine tratta da Facebook

Per circa venticinque anni (1979-2003) l’Iraq è stato governato da Saddam Hussein. In seguito alla caduta del dittatore iracheno, l’Iraq è divenuto nel 2005 una Repubblica parlamentare federale, sotto l’influenza e il controllo degli USA. Che Paese incontrerà il Santo Padre? 

«L’Iraq anche se è un Paese a maggioranza sunnita, le più alte cariche sono sciite e questo complica una situazione già di per sé complicata. Il Papa, come avviene sempre, incontrerà tutte le autorità, il Presidente della Repubblica, il corpo diplomatico, ma incontrerà anche le autorità curde, come avverrà a Erbil, in questo caso insieme alle autorità religiose. Dai tempi di Saddam Hussein il Paese è cambiato, il mondo politico iracheno è variegato e instabile. L’Iraq è un Paese che ha un devastante problema di corruzione, ci sono state tante manifestazioni delle giovani generazioni irachene, almeno fino a che è stato possibile andare in piazza. Manifestazioni sostenute dal Patriarca caldeo Sako che è sceso in piazza insieme ai giovani. Tra l’altro l’Iraq è un Paese giovane, come l’Iran, ha una popolazione quasi al 70% composta da trentenni o poco più. È una popolazione giovane che non ha risposte dalla politica, vittima di corruzione e di clientelismo. La società civile irachena è priva di leader e di riferimenti, perché la caduta di Saddam Hussein ha lasciato un vuoto di potere. I giovani hanno provato a far sentire le proprie voci, anche nel silenzio del mondo. Sono proteste che non hanno avuto nessuna visibilità mediatica. Proteste positive da un lato, perché ciò significa che c’è una società che ha voglia di normalità e di condizioni di vita migliori, ma dall’altro lato evidenziano non solo la corruzione endemica, ma anche una crisi economica fortissima e l’altissimo tasso di disoccupazione. E sono trent’anni che l’Iraq si trova in questa situazione di insicurezza e di instabilità. La visita di Papa Francesco toccherà anche questo aspetto, dare visibilità e legittimità, se non alle proteste, al desiderio di normalità di un Paese ricchissimo, perché galleggia sul petrolio, ma dove la popolazione non gode assolutamente di questo. Ecco perché il viaggio in Iraq è sicuramente uno dei viaggi più importanti del pontificato di Bergoglio, il più voluto e il più significativo».

Sidra, l’antico libro sacro di preghiere dalla Chiesa siro-cattolica in lingua aramaica del XIV – XV Secolo, salvato dalla devastazione del Daesh e rimesso a nuovo da un eccezionale lavoro di recupero e restauro in Italia, che contiene le preghiere liturgiche da Pasqua alla festa della Santa Croce, è stato recentemente mostrato a Papa Francesco nella Biblioteca apostolica vaticana. Il manoscritto può essere considerato come un “Libro profugo”, simbolo del genocidio culturale subìto dalle popolazioni della Piana di Ninive e di Mosul? 

«Sì, a questo proposito cito un dato interessante. La Messa ad Erbil domenica 7 marzo, che sarà trasmessa in diretta su Rai1, sarà anche in aramaico. Durante la liturgia il “Padre Nostro” sarà in aramaico. Anche il Patriarca Sako sta sostenendo una riforma per portare l’aramaico durante la Messa e questo è un simbolo di continuità. Il ritrovamento dell’antico libro di preghiere fa parte di quella tradizione dei cristiani iracheni e anima questo popolo. Rappresenta l’identità culturale di un popolo che si manifesta nella storia. Il Papa ha apprezzato Sidra come segno di pace e di fratellanza».