Quaresima, suor Chiara: “Il digiuno dalle maldicenze per costruire la pace del cuore”

Care sorelle, sono rimasta colpita dall’invito rivolto dal Papa nell’Angelus a digiunare in Quaresima da chiacchiere e maldicenze. Ho notato che anche nel mio condominio e nel mio quartiere, perfino in tempi difficili come questi se ne fanno sempre tanti di pettegolezzi, anche sul virus, su chi è malato e chi no. Capita a tutti ogni tanto di cedere a questa brutta abitudine di “sparlare”. Forse questo è un digiuno più difficile di quello che riguarda il cibo, che cosa ne pensate?

Agnese

La posta in gioco, in quest’ambito, non verte tanto sulla difficoltà nel vivere l’uno piuttosto che l’altro, cara Agnese, quanto piuttosto sulla necessità di non escludere entrambi. Il digiuno dal cibo, può essere un aiuto a dominare le nostre passioni e a convertire, in forze positive a servizio della vita e dell’amore, i nostri istinti, compresi quelli della maldicenza e del pettegolezzo; sganciato dalla vita, però, può alimentare il nostro orgoglio, facendoci sentire “a posto”, come è capitato al pubblicano al tempio. Spesso, infatti, nonostante ci asteniamo dai dolci, dal caffè, dal fumo, ecc, continuiamo ad essere maldicenti e malvagi con i nostri fratelli, soprattutto con coloro che hanno sbagliato. Se evitare alcuni cibi, come segno quaresimale, non ci aiuta a vincere l’ingiustizia, la malvagità, la durezza del cuore e non ci sprona ad un impegno maggiore nelle opere di misericordia, di carità e di giustizia, Dio lo rifiuta! «Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. – grida il profeta Isaia – È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo?» (Liturgia Venerdì 1° sett. di quaresima). 

Il digiuno o l’astinenza dal cibo deve essere, perciò, orientato alla conversione di tutta la nostra esistenza che si apre al prossimo, nel dono di sé. 

Un inno quaresimale che la Chiesa innalza ogni giorno canta: «Sia parca e frugale la mensa, sia sobria la lingua ed il cuore» (Ufficio delle letture). La frugalità della mensa deve, dunque, accordarsi alla sobrietà della lingua e del cuore. Questa è la grande sfida, la provocazione che, in questo tempo santo, il cristiano è chiamato ad affrontare!

Non per nulla papa Francesco ha richiamato, con chiarezza e parresia, la necessità di un digiuno tutto particolare: quello dalle chiacchiere e dalla maldicenza verso i fratelli. Più volte egli ha definito il pettegolezzo: “terrorismo delle chiacchiere”. Il termine “terrorismo” è forte ed esprime molto bene il potere devastante di questa cattiva abitudine.

Sono molti i motivi che ci spingono alla mormorazione: a volte siamo invidiosi del bene altrui e non sopportiamo che altri godano di particolari doni; altre volte “sparliamo” di alcune persone per sfogare la nostra rabbia e attuare piccole, ma terribili vendette; altre ancora perché assecondiamo il nostro bisogno di sentirci superiori a coloro che critichiamo. Ricordiamoci che denigrare è diabolico e mira soltanto a seminare zizzania, dividere famiglie e comunità, insinuando in tutti il sospetto. Il nemico, infatti, confonde i nostri pensieri e, in modo “elegante” e camuffato, ci inganna travestendo di verità, schiettezza, carità, libertà ciò che è miseramente egoistico e malvagio. Spesso, con leggerezza, non riflettiamo sulle parole che escono dalla nostra bocca e sui pensieri che abitano le nostre menti, provocando così danni irreparabili.

Ricordiamoci dell’esortazione di san Paolo: «Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano. Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità» (Ef. 4, 29.31). 

Ciò richiede, da parte nostra, una lotta impegnativa, spesso dolorosa che, tuttavia, produce il frutto buono della pace del cuore e della comunione tra di noi. 

Accogliendo l’invito del vescovo di Roma a digiunare dalle chiacchiere, sperimenteremo la potenza della grazia che, anche nella la nostra povertà e persino del nostro peccato, può compiere cose grandi.