Lotta al Covid-19: dopo un anno è diventata una maratona. La “medicina” del Papa è una sfida: la fraternità

L’aspettativa di vita, dice l’Istat, con la pandemia è diminuita di quattro anni e solo in Italia negli ultimi dodici mesi sono morte centomila persone in più rispetto alla media del quinquennio precedente. Poco importa se queste persone siano decedute “con” covid o “per” covid, come ripetono ossessivamente i commentatori più accaniti sui social. Questi numeri quantificano in modo crudo e obiettivo l’impatto della pandemia.

È come se dal nostro Paese fosse stata spazzata via una città di medie dimensioni. Bergamo, per dire, di abitanti ne ha 120 mila, e arrivati alla “terza ondata” la nostra provincia resta comunque quella che ha pagato il tributo più alto, oltre seimila morti in più rispetto alla media dell’ultimo lustro (sempre attenendoci ai dati dell’Istat).
Questo è il primo anello, il più evidente, della catena di conseguenze innescate dal contagio e dalle misure imposte per prevenirlo: i posti di lavoro persi, le attività commerciali in gravissime difficoltà, le famiglie ridotte in povertà.

Eppure lo scenario, per quanto drammatico, non è lo stesso di un anno fa, l’aria che si respira è – nonostante tutto – più leggera: esistono i vaccini, dai Paesi in cui la somministrazione è più avanzata arrivano finora notizie molto incoraggianti sul contenimento del coronavirus.

Ciò che appare più preoccupante, in questo momento, è il deterioramento della reazione collettiva: all’inizio pensavamo che la lotta al virus richiedesse uno sprint, nessuno era preparato per una maratona. E senza allenamento – gli atleti lo sanno – a un certo punto si resta senza fiato, si finisce a terra.

Sono tanti i segnali di disagio, a partire dalla lotta a coltello di questi giorni per le priorità dei vaccini: ognuno ha un motivo per reclamare la precedenza a scapito degli altri. Toni e contenuti del dibattito politico scadono spesso sia nella forma sia nei contenuti. Le persone comuni si sfogano malamente sui social, manifestando rabbia, delusione, rancore a scapito di atteggiamenti positivi come l’ascolto, il rispetto, la solidarietà e il sostegno reciproco, che comunque nella vita reale, fortunatamente, continuano ad essere per molti un “mainstream”, la cosa più importante.

In un contesto così complesso, fluido e mobile, a un anno dall’inizio della crisi e forse alla vigilia di un nuovo “picco” ognuno è chiamato a un esercizio di responsabilità a più livelli, e le parole chiave ci sembrano essenzialmente due: cura e fraternità. Quando parliamo di cura intendiamo un’azione paziente di rammendo emotivo, personale e sociale: abbiamo tutti gli orli sfrangiati e qualche strappo aperto lì dove la nostra vicenda personale, in qualche momento, è straripata, e ci sono molte cose che possiamo fare per aiutarci a vicenda a ricucire, consolare, recuperare speranza e slancio, in ogni ambito, dalla carità alla cultura, dalla comunicazione all’economia. La fraternità, infine, è la strada sulla quale Papa Francesco ci indirizza attraverso la sua enciclica “Fratelli tutti”.

Com’è importante sognare insieme! […] Da soli si rischia di avere dei miraggi, per cui vedi quello che non c’è; i sogni si costruiscono insieme

Fratelli tutti, n. 7