Due settimane di DaD (che a me sembrano due anni)

Ti verrebbe da pensare che una volta iniziata l’impresa pian piano tutto diventi più facile. E invece no, nel mio caso non funziona. A me, la didattica a distanza, pesa ogni giorno di più. Son due settimane che siamo qui davanti ai pc a far lezione, eppure a me sembrano due anni. In più non imparo con l’esperienza, e quindi continuo ad essere disorganizzata, a perdere qua e là link e compiti, a saltellare da un figlio all’altro in chat senza riuscire a fare null’altro mentre loro sono in DaD.

A ciò si aggiunge che i miei figli, dopo l’entusiasmo iniziale, iniziano già a stancarsi di dover seguire in questa modalità lezioni che, lo ammetto, io stessa faticherei ad ascoltare. Tra collegamenti che saltano, voci che vanno e vengono, bambini che interrompono, insegnanti che provano ad ascoltare tutti, video che non partono, presentazioni che non si aprono.

“Mamma, sono stanca, non ho voglia”. “Alice dai, guarda qui che belle queste operazioni in colonna che dovete fare, forza che un’ora vola”. Anche la mia capacitò di motivare i miei figli inizia ad accusare colpi. Anche perché, nel frattempo, accumulo sul lavoro tante cose che dovrei fare ma sono costretta a rimandare. Ed è difficile restare lucidi, brillanti e ottimisti.

Mi consolo vedendo che non sono l’unica. Non sono l’unica ad avere difficoltà, non sono l’unica a vivere momenti di sconforto. L’articolo che ho scritto la scorsa settimana è stato condiviso da più di 36 mila persone e ha ricevuto oltre 4.700 commenti. E sono proprio i commenti, ad avermi ipnoticamente attratta.

Perché ti si aprono spaccati di vita, storie di persone che si rimboccano le maniche e affrontano situazioni davvero complesse. Mamme alle prese con quattro figli d’età compresa tra i due e i 17 anni, papà che gestiscono figli e compiti mentre sono in smartworking (che di “smart” non ha molto, al massimo è “hard”), bambini che non hanno tablet o pc, nonne che ce la mettono tutta ma a volte crollano o si commuovono.

E poi ci sono genitori che convivono, dalla mattina alla sera, coi sensi di colpa. Perché magari devono andare a lavorare e lasciano i figli da soli o con chi non è del tutto in grado di occuparsene, perché ci hanno inculcato l’idea che sei un genitore di serie B se piazzi i tuoi figli davanti alla tv, e ora li abbandoniamo giornate intere davanti a monitor e cellulari.

Io oggi mi sono sentita in colpa perché, all’ennesimo “maaaaamma”, ho urlato a mia figlia che doveva arrangiarsi, che ormai è grande. L’ho trovata dieci minuti dopo in lacrime, piccina piccina (non ha nemmeno sei anni, con che coraggio posso chiederle d’esser grande?!), provava a connettersi a una chat ma non ci riusciva. E ho pensato che in effetti i bimbi hanno il diritto di esser bambini. Mio figlio ha ragione a non voler star fermo davanti al pc, a voler correre, a voler giocare a palla ogni minuto che può. Ha ragione a non aver voglia di fare i compiti. Ha sette anni.

Penso ai genitori che sono a casa con bambini di 2-3 anni. Penso alle mamme e ai papà di adolescenti in difficoltà, ragazzi di 12-13 anni che perdono la voglia di vivere e di fare. Penso a chi ha perso il lavoro e ora fatica anche a vedere un futuro per suo figlio.

E a coloro che commentano ridendoci sopra, a coloro che ridicolizzano e sottolineano che i problemi son ben altri…beh, a tutti coloro direi solo di non giudicare. Ognuno può esprimere la propria opinione, ma non può conoscere, nel profondo, ciò che altri stanno vivendo sulla propria pelle. E una carezza, una parola di conforto, il sapere di non esser soli possono dare la forza per andare avanti. Anche nei momenti più bui.