Il polo per l’autismo dell’Azienda Isola. Tante attività, con la speranza di potersi presto aprire al territorio

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Superare gli stereotipi, così da abbattere il pregiudizio. È la missione del polo per l’autismo dell’Azienda Isola, attivo, da febbraio 2021, nel comune di Ponte San Pietro. «Fino a poco tempo fa, il nostro servizio, nato nel 2015, si avvaleva di due centri – racconta la dottoressa Elena Pedrinzani, responsabile del polo –, quello presso il comune di Ponte San Pietro, volto ai più piccoli, e quello di Pontida, aperto ai ragazzi dai diciotto ai trentacinque anni d’età. A dicembre 2020, assieme al C.d.A., si è però deciso di svincolare la nostra offerta da appalti e cooperative, così da aumentarne la qualità tramite una gestione tutta nostra. Abbiamo quindi pensato di uniformare la proposta e di dar vita a un’équipe interna, unificando le due sedi (geolocalizzandole in un solo paese) e offrendo un’iscrizione che non fosse più “a moduli”, bensì a giornate, in cui poter gestire piccoli gruppi di persone. Un’operazione, questa, dettata da motivi logistici, ma anche dalla volontà di perseguire un maggiore equilibrio e una migliore stabilità, soprattutto per i ragazzi e le loro famiglie. A tal proposito, tramite apposito concorso, abbiamo anche assunto due educatori professionali».

Un cambio di passo significativo. «Ci premeva uscire da logiche solipsistiche, se così si può dire, ovvero quelle basate solo ed esclusivamente sul raggiungimento di obiettivi individuali – spiega Pedrinzani –, ma anche da logiche terapeutiche e riabilitative. Il modus operandi, ora, è quello sociale ed educativo che, ispirato dal protocollo del polo territoriale di Neuropsichiatria Infantile di Bonate Sotto, desidera, attraverso tecniche specifiche, stimolare competenze comunicative e relazionali».

Un servizio, quello del polo per l’autismo, che punta molto alla differenziazione per età. «L’offerta del servizio si compone di due moduli – afferma Pedrinzani –, uno per l’infanzia (dai 3 ai 14 anni) e uno per l’adolescenza e l’età adulta (dai 15 ai 35 anni). Per quanto riguarda il primo, l’attività è pomeridiana e si svolge dalle 14.00 alle 16.00 (per i ragazzi delle medie e delle superiori) e dalle 16.00 alle 18.00 (per i bambini della scuola materna e delle elementari). I progetti sono concordati con la neuropsichiatra e si punta molto sulle attività relazionali, come il momento della merenda o quello del gioco. Ad ora, abbiamo 6 iscritti. Per quanto riguarda la seconda fascia d’età, invece, stiamo cercando di portare avanti un obiettivo socio-occupazionale. Le attività proposte sono quelle di tipo territoriale, che cercano di avvicinare gli utenti al mondo del lavoro. Ovviamente, non siamo un’agenzia interinale; il nostro operato educativo è quello di far sviluppare delle competenze che possano essere ben spese. Con il comune di Ponte San Pietro abbiamo cercato delle attività che potessero essere svolte dai nostri ragazzi, in modo da far emergere le loro capacità, che vanno al di là del loro disturbo. Abbiamo iniziato a coltivare un piccolo orticello e a confezionare i pacchi alimentari per le famiglie bisognose. L’anno scorso, a Pontida, avevamo iniziato anche un’attività di tinteggiatura delle panchine, ma il Covid ha messo fine a questa esperienza. Per adesso, sono cinque gli utenti».

Non ci sono, però, solo i ragazzi con disturbo dello spettro autistico, ma pure le loro famiglie. «La nostra attenzione si rivolge anche alla famiglia – dice Pedrinzani –. Attraverso l’attività del collega psicologo (e coordinatore del servizio) Lorenzo Giusti, i familiari possono avvalersi di percorsi specifici, che vanno ad implementare le misure messe a disposizione dall’Ats». Percorsi e misure che spesso, purtroppo, devono far fronte a una società intrisa di stereotipi e pregiudizi. «C’è tantissima ignoranza a riguardo dell’autismo – spiega Pedrinzani –, poca conoscenza. Questo disturbo è stato spesso associato a “semplice” problematica psichiatrica, ma questa è una fallacia. Si pensa che un ragazzo affetto da autismo viva chiuso nel proprio mondo, ma non è così. Non basta, però, parlarne ad alti livelli; per nutrire il pensiero di una comunità, bisogna partire dal basso, dalla scuola e dai più piccoli. Bisognerebbe discuterne a cuore aperto con i bambini. Sarebbe bello dar vita a progetti con gli istituti scolastici, così da sradicare, fin da subito, pregiudizi e stereotipi».

Progetti, quelli del polo per l’autismo, che, purtroppo, sono stati ridimensionati dal Covid. «L’anno scorso il Covid ha sconvolto quella che era la realtà quotidiana del centro e dei nostri gruppi di ragazzi – racconta Pedrinzani –. Anche noi ci siamo riorganizzati tramite attività telematiche, ma le difficoltà sono emerse fin da subito. Penso ai genitori, in primis, ma anche alla tremenda povertà educativa e relazionale che ha compromesso gli impegni con i ragazzi, incrementando, automaticamente, il carico di lavoro dei loro caregiver. Lo scorso giugno, con le necessarie precauzioni e limiti numerici, abbiamo riportato in presenza quella parte di persone che avevano deciso di sottoporsi al tampone. Nonostante ciò, il Covid è stato un duro colpo alle nostre aspirazioni. Il servizio che volevamo offrire, infatti, non voleva essere qualcosa di ripiegato su sé stesso, chiuso al proprio interno, bensì un progetto aperto al territorio. Purtroppo, ora come ora, a causa del virus e delle relative restrizioni, tutte le attività si svolgono all’interno del polo».

Ma, nonostante le difficoltà, non si perde la speranza: «Le persone affette da autismo sono uniche e hanno una sfera comunicativa e relazionale particolare, hanno una loro identità e tanto da dirci e da insegnarci; spetta a noi cercare di entrare in contatto con loro. Sono convinta che, molto presto, torneremo a vivere il territorio liberamente. E questo sarà un grande vantaggio, sia per i nostri ragazzi, ma anche per la nostra comunità, poiché, grazie a loro, avrà l’opportunità di crescere».