Il pellegrinaggio pastorale riparte da Villa d’Almè: “Condividiamo una speranza viva”

Villa D'Almè 14 aprile 2021

“I cristiani sono una comunità di persone che condividono la medesima speranza”. Sarà il cielo azzurro, sarà forse il sole che attraversa le vetrate fino ad entrare all’interno della chiesa parrocchiale di Villa d’Almè, ma la speranza sembra tradursi non solo in parole ma in gesti, atmosfere, sguardi nella preghiera che apre la seconda tappa del pellegrinaggio pastorale del vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi, nelle 13 parrocchie della Fraternità presbiterale 1 della Cet (Comunità ecclesiale territoriale) 9, tra Villa d’Almè e Ponteranica. Un cammino, come ha sottolineato il vescovo, di condivisione e di scoperta, che mantiene la speranza come chiave di lettura che attraversa tutta la riflessione proposta a un’assemblea folta (compatibilmente con le norme di distanziamento), composta da anziani, alcuni giovani, famiglie, tutti i 22 sacerdoti e i due diaconi, con la guida del moderatore della fraternità don Raffaele Cuminetti, che presentando il ricco tessuto di questa zona, fatto di tanti gruppi e associazioni laicali, due comunità religiose maschili e cinque femminili, ha espresso “la gioia di camminare insieme”. Non importa che l’appuntamento sia caduto in una mattina qualunque di un giorno feriale, mentre Bergamo è ancora in zona arancione per il contenimento della pandemia da covid-19. 

Il vescovo ha messo in luce gli aspetti più importanti di una parrocchia “missionaria”, quelli evidenziati nella lettera scritta proprio in occasione dell’inizio del suo percorso attraverso la diocesi: “La fraternità, l’ospitalità e la prossimità – ha sottolineato – sono i tratti di una parrocchia che continuamente si rende fedele alla missione che il Signore le ha affidato”. 

Monsignor Beschi, scegliendo come guida la prima lettera di San Pietro apostolo, letta durante la preghiera, ha parlato di “una speranza viva”, come del sentimento che intende condividere con le comunità dove si fermerà nei prossimi giorni: “Vorrei vivere con voi questo sentimento, condividerlo nei giorni che trascorrerò nelle vostre comunità. La speranza è un sentimento ma è ancor di più una virtù. I cristiani sono una comunità di persone che condividono la medesima speranza”, qualunque sia la loro condizione: donne, uomini, famiglie, consacrati, presbiteri, diaconi. 

Nel declinare le caratteristiche di questa speranza monsignor Beschi l’ha collocata nel momento presente, nella crisi – spirituale, sociale, economica, culturale – generata dalla pandemia: “È difficile che non ci sia un barlume di speranza nel cuore di ogni persona umana. D’altra parte dobbiamo riconoscere che a volte la speranza viene messa così fortemente alla prova che sembra si dilegui davanti agli occhi. Nonostante noi riteniamo che ci sia sempre una luce nel cuore di ognuno,  dobbiamo riconoscere che ci sono momenti in cui alcuni non riescono a vederla. Incontriamo a volte persone rassegnate, a volte addirittura disperate. Ecco perché è così importante raccogliere il dono della speranza, alimentarlo attraverso la comprensione. Far crescere il sentimento e la determinazione che può trasformarlo in virtù. Sappiamo che in questi mesi in cui siamo stati messi alla prova insieme dalla pandemia, anche se in maniere diverse, tutti abbiamo coltivato una speranza che oggi diventa ancora più intensa. La diffusione non solo del contagio ma della possibilità che il vaccino raggiunga tutti alimenta la possibilità di uscire finalmente da questa prova. Nel caso questo accadesse, sappiamo comunque che la speranza non si accontenta mai, e anche dopo la fine di questa crisi non si svuoterà di intensità. La lettera di Pietro ci introduce a questo sentimento, ci invita a coltivarlo. L’apostolo scrive ai fedeli dispersi e rigenerati dalla misericordia”. Se il proverbio popolare dice finché c’è vita c’è speranza, sottolinea il vescovo “Noi cristiani diciamo finché c’è speranza c’è vita, e la nostra speranza scaturisce dalla resurrezione di Gesù”. Pietro parla a cristiani “dispersi”, esposti alla prova e alla sofferenza, “come nei Paesi in cui sono una piccola minoranza e non si possono incontrare, sono insieme a persone indifferenti alla loro fede, talvolta ostili o sprezzanti. Oppure come le persone che vivono una condizione di interiore smarrimento, che talvolta sono assimilati a comportamenti e giudizi a una mentalità lontana dal Vangelo”. L’affermazione di Pietro potrebbe essere calzante anche per la nostra condizione di distanziamento “una dispersione forse meno grave, ma comunque pesante. Non si tratta quindi solo di una condizione geografica, ma spirituale, che potrebbe corrispondere a quei momenti in cui qualcuno di noi dice “mi sento a pezzi”, e non intende manifestare un malessere fisico, ma spirituale, si sente a pezzi, non sa più come “tirarsi insieme”. Pensate a quei cristiani che dichiarano il loro disorientamento andando a toccare i fondamenti della fede. Pensiamo alla condizione esistenziale in cui sembra che l’orizzonte sia nascosto e si percepisce quindi un disorientamento che non permette di capire cosa conti veramente. Sono felice di poter iniziare questo pellegrinaggio nel segno di questa speranza, nel tempo della Pasqua”. A partire da essa assumono una nuova luce anche la fraternità, che “non può essere formale, esteriore. Noi siamo tanto diversi, sperimentiamo la fatica di comprenderci reciprocamente”. Possiamo attingerne le ragioni e le radici nel messaggio di Gesù, perché “siamo rigenerati dal seme della Parola di Dio”. 

Il vescovo ha ricordato che la prossimità è “una concordia capace di condivisione, nutrita da sentimenti di affetto, umiltà, perdono, misericordia”, e che l’ospitalità va praticata “gli uni verso gli altri, in modo generoso, senza proporzioni, senza giudizi, mettendosi a servizio, partecipi delle gioie e dei dolori”. Per ricordare il valore della misericordia ha citato le parole di Papa Francesco:  “È difficile essere misericordiosi se non ci accorgiamo di essere misericordiati. Se l’amore finisce con noi stessi, la fede si prosciuga in un egoismo sterile. Il pellegrinaggio non si conclude con una meta ma con l’incontro con Gesù, con il riconoscimento della presenza del Signore in mezzo a noi”.