Il gruppo Sermig di Bonate Sopra compie 15 anni: i giovani al centro

Una montagna di scatole ordinate accoglie chi entra nella sala centrale della vecchia scuola elementare di Bonate Sopra. Dentro ci sono vestiti, farmaci, libri. Al sabato pomeriggio, i giovani si mettono all’opera: uno apre le scatole, un altro le svuota, altri ne ordinano il contenuto. Il materiale si smista, controlla, divide. Si riempiono decine di nuovi scatoloni. Su ognuno, un’etichetta: tipologia di materiale donato e destinazione. Le mani che operano sono quelle del gruppo Sermig di Bonate Sopra: una trentina di giovani di età compresa tra i 15 e i 30 anni, legati da una profonda amicizia al Sermig – Arsenale della Pace di Torino. Durante gli ultimi mesi, i materiali e le offerte raccolte sono stati destinati vicino – ai frati cappuccini di Bergamo e al Sermig di Torino – e lontano – al  Libano, dopo l’esplosione del porto di Beirut e a progetti di aiuto per i migranti in Bosnia. Nei primi mesi del 2021 2,3 tonnellate di materiale hanno raggiunto situazioni di difficoltà. Frutto di una catena che ha coinvolto centinaia di persone in tutto il territorio di Bergamo. “Il nostro telefono squillava continuamente” raccontano i giovani di Bonate “le persone volevano capire come essere utili”.

Nel 2021, il gruppo Sermig compie 15 anni. Nel tempo, i suoi obiettivi non sono cambiati: essere amici veri, fare famiglia con tante famiglie, mettere i giovani al centro. Nel 2019 hanno portato a Bergamo il 6° Appuntamento dei Giovani della Pace, che ha riunito migliaia di persone per il pomeriggio di testimonianze in Piazza Vittorio Veneto e la veglia di preghiera in Città Alta. A raccontare la loro storia è Chiara Basta, una delle prime del gruppo.

Il vostro gruppo è nato da un incontro che ha lasciato il segno. Quale?

Sì, è nato quasi per caso. Quindici anni fa eravamo a fare un campo estivo all’Arsenale della Pace, ex arsenale militare trasformato dal Sermig in una casa per i poveri e per i giovani, aperta 24 ore su 24. Ad accoglierci è stata la Fraternita della Speranza, composta da consacrati e famiglie, che tiene vivo l’Arsenale con lavoro e preghiera. Eravamo una decina, tutti minorenni. Durante la visita guidata dell’Arsenale abbiamo visto dietro ad un cancello alcuni bambini che giocavano. Erano particolari: occhi a mandorla e mascherine sul viso. Erano malati di leucemia e di altre patologie gravi, vivevano all’Arsenale il tempo sospeso tra una visita in ospedale e l’altra. Per una settimana abbiamo giocato con loro. E poi abbiamo deciso di adottarli, che significava preoccuparci per loro anche a distanza. L’Arsenale ha adottato noi, noi abbiamo adottato loro. Siamo tornati a Bonate e abbiamo iniziato ad incontrarci regolarmente per organizzare vendite torte e raccolte di fondi tra amici. La strada poi si è aperta: quel desiderio di essere utili si è trasformato in un impegno più ampio sul nostro territorio.

Negli anni siete sempre rimasti legati all’Arsenale della Pace di Torino. Come mai?

Siamo sempre stati colpiti dal fatto che una casa così bella come l’Arsenale fosse nata da una famiglia – Ernesto Olivero, sua moglie Maria Cerrato e tre figli – e tenuta in piedi da giovani. Lì abbiamo trovato persone che ogni giorno provano a cambiare il pezzo di mondo in cui si trovano. Abbiamo avuto la possibilità di guardare alla realtà così come è: con le guerre, la fame, le ingiustizie. E in Arsenale ci sono state date sin da subito delle responsabilità. Qualcuno ha creduto in noi e noi abbiamo deciso di impegnarci per coltivare sempre di più questo legame. Nel 2015 Ernesto Olivero ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Bergamo e nei drammatici mesi di pandemia è stato vicino a Bergamo con una poesia che è stata scolpita come memoriale per le vittime del Covid. C’è un filo rosso che lega Bergamo al Sermig di Torino.

La vostra attività si concentrano soprattutto sui giovani. Li incontrate nelle scuole e nelle parrocchie. Perché avete scelto proprio con loro?

In Arsenale ci viene spesso ripetuto che i giovani, oggi, sono i più poveri di tutti. Pensiamo sia vero: anche noi abbiamo sperimentato la fatica di costruire relazioni solide, di trovare valori autentici, di scommettere sulla nostra vita per farne qualcosa di bello. Ma poi siamo stati fortunati: abbiamo incontrato chi ci ha dato fiducia e su quella abbiamo costruito. Vogliamo che altri giovani abbiano la nostra stessa possibilità. Nel tempo le nostre attività pratiche – come lo smistamento del materiale che ci viene donato –  sono diventate un’occasione per creare relazioni nuove. E poi Ernesto ci ripete spesso che “Un pugno di giovani può cambiare il mondo”. Noi ci crediamo davvero.

Tu sei mamma di due bambine, una condizione comune ad altre persone del gruppo. Come concili l’impegno nel Sermig con gli impegni lavorativi e famigliari?

Non è un impegno a sé, è proprio parte della mia vita. Il gruppo mi aiuta a vivere in modo diverso la quotidianità, mi apre continuamente agli altri, mi ricorda che non esisto solo io. Penso sia importante anche per la nostra famiglia: le nostre figlie stanno crescendo in un contesto di gruppo, di condivisione. Respirano un’aria che vale più di tutte le parole che possiamo dire loro.

Il prossimo sogno?

Aprire un Arsenale a Bergamo. Una grande casa per i giovani del nostro territorio e disponibile per chi bussa alla porta. Sarebbe il modo più bello di restituire alla nostra città tutta la bellezza che abbiamo incontrato in questi anni.