Gioventù bruciata? Una generazione che fatica a vedere il futuro

Secondo la Fondazione Bruno Visentin, in base ai dati Istat del febbraio 2021, il tasso di occupazione tra i 15-25enni è diminuito di 14,7 punti percentuali in un anno, mentre i 25-34enni hanno perso complessivamente 258 mila posti di lavoro dal febbraio scorso (-6,4%) su un totale di 945 mila. Secondo Eurostat, nella fascia di età tra 20-34 anni, l’Italia è il Paese con il più alto numero di NEET – Not in Education, Employment or Training- dell’Unione europea, il 27,8 per cento contro una media Ue del 16,4 per cento. Insomma: il Covid non li ha fatti morire, ma li ha tagliati fuori.

Ora, il PNRR si propone di intervenire su questa condizione giovanile attraverso le politiche trasversali previste dalle varie Missioni. Con un’avvertenza: i miliardi del PNRR che pioveranno dall’elicottero europeo sulle generazioni attuali, dovranno poi essere restituiti dai giovani di oggi, nel frattempo diventati più adulti.

Intanto la ricerca recentemente condotta da SWG per conto di Hub Italian Tech e di altri sonda la loro tavola dei valori,  all’uscita dal tempo della pandemia. Il succo è che i giovani continuano a sognare e persino a voler partecipare alle vicende del mondo, senza però assumersi troppe responsabilità. Incerti, e sfiduciati, consumano il presente in modo compulsivo e depressivo, non hanno molta voglia di futuro.

Una particolare attenzione viene dedicata da opinionisti, psicologi, pedagogisti ai ragazzi diciannovenni che si apprestano alla maturità 2021. Massimo Recalcati e Umberto Galimberti paiono offrire ricette opposte. Recalcati propende per “la cura” e, pertanto, per una valutazione leggera dell’intero anno scolastico – occorre evitare la numerologia nei giudizi scolastici! – Galimberti per un severo esercizio della responsabilità degli adulti nei confronti dei giovani.

Intanto Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’ISTAT, ha da tempo lanciato l’allarme sull’inverno demografico, che sta gelando il Paese. Draghi ne ha ripreso il senso: senza nascite il Paese scompare. 

Ecco perché la problematica della condizione giovanile sta diventando drammatica. Se questo Paese ha ancora una classe dirigente, questo è il momento che batta un colpo. Dopo sarà tardi. Le leggi della statistica sono cieche e inesorabili.

Quale colpo? Certamente, attraverso delle policy adeguate, che per diventare efficaci richiedono una catena logica di riforme, appesa al chiodo decisivo delle riforme costituzionali e costituenti. Per fare le policy occorre riformare la politics. Per riformare la politics occorre cambiare le istituzioni, cioè la Costituzione. Non basterà nulla di meno. 

Tuttavia la catena delle riforme sarà sempre troppo fragile senza una riforma morale e intellettuale – direbbe Gramsci – della società adulta.

Se i giovani non riescono a vedere il futuro come l’impresa della loro vita, è perché la società adulta è tutta piegata sul presente. Se i giovani non vogliono assumersi responsabilità, ciò accade perché la società adulta ne rifugge. 

Nella vulgata pedagogica corrente e nella pratica che ne è conseguita, dopo “i formidabili anni”, l’autorità si è ridotta alla cura e alla manutenzione della relazione dell’educatore con l’educando, al quale devono essere risparmiati gli urti con il mondo e le conseguenti frustrazioni e delusioni. 

Solo che la relazione con il mondo è la sostanza della crescita umana e perciò dell’esistenza. Tutta la vita e, specificamente, gli anni della maturazione adulta sono il tempo dell’apertura alla realtà. L’autorità ha come contenuto l’educazione, che è, appunto, “l’introduzione alla realtà totale”, secondo la tacitiana definizione data dal teologo gesuita Josef Andreas Jungmann. 

Vuol dire tre cose. Primo: la conoscenza, il Logos, è l’essenza del rapporto con la realtà.  Non è l’emozione, non il sogno, non il desiderio, non il diritto. Secondo: la realtà è il tutto, è la storia, è il presente, è il futuro che arriva. Per Jungmann e per Don Giussani, che lo ha rilanciato, la Realtà è non solo immanenza, è anche la trascendenza, che ne è il fondamento ontologico. Terzo: il giudizio dell’adulto nella forma della valutazione, della certificazione, della vigilanza è l’esercizio concreto dell’autorità educativa. Non è una pietra d’inciampo della crescita, ne è la condizione. 

Ora, se poniamo mente ai messaggi che arrivano ai ragazzi dalla società italiana adulta, essi sono straordinariamente provinciali, introversi, chiusi sulla dimensione locale. I nostri ragazzi non vedono il mondo “là fuori”. Non conoscono la storia del Paese e del mondo, perché i genitori, i mass-media, l’opinione pubblica, i partiti non la conoscono. Solo la scuola, occorre darne atto, tenta faticosamente di resistere alla corrente del presentismo cieco. 

Perciò i ragazzi non hanno altro criterio di orientamento per le proprie scelte che le emozioni del momento, che gli adulti chiamano rispettosamente “sogni”. Perciò non vedono il mercato del lavoro, il futuro delle professioni, la radicalità dei cambiamenti tecnologici e produttivi. Fanno scelte fatue, che portano verso il nulla. Donde il crescente mis-match tra offerte di lavoro e capacità di risposta. Alla generazione dei baby-boomer del secondo dopoguerra non girava intorno un sacco di psicologi e educatori che volevano curare le sue reazioni all’impatto con il mondo. No, a quella generazione i padri hanno gettato in faccia il mondo. 

Tutta la retorica sulla specie e sull’etica di specie alla fine ripiega sul tema del clima e delle specie animali, ma non si traduce in coscienza geopolitica. Se la società adulta non la costruisce, perché i figli dovrebbero darsela da sé? Il futuro richiede spesso il sacrificio, cioè il differimento del consumo del presente. Sacrificio significa investire sul futuro. Bisogna, perciò, vederlo. Sennò ti aggredisce alle spalle. 

Se “autorità” vuol dire far crescere, allora la crisi di autorità è causata non da chi la rifiuta, ma da chi non la esercita.

Se il complesso di Telemaco colpisce le giovani generazioni, è perché i padri hanno scelto di andarsene. 

E il complesso di Narciso? Se i ragazzi pensano che è il mondo a doversi adattare a loro, è perché i genitori si sono messi in testa che il mondo è solo ciò che gira intorno a se stessi. Senso di onnipotenza e nichilismo sono due facce della stessa cattiva moneta. Sono malattie della società adulta. 

Se i nostri ragazzi fanno fatica ad assumersi responsabilità, pur essendo disponibili alla partecipazione, come documentato dalla ricerca sopra citata, la ragione di fondo è che non percepiscono attorno a loro tale fatica.

Una volta c’era il servizio militare, che spesso funzionava per i giovani di un’Italia agricola e proto-industriale come un modo per trarli fuori dal nido provinciale soffocante e per servire il Paese.

Perché, solo per dare un piccolo suggerimento, non rendere obbligatorio un anno di servizio di cittadinanza attiva, organizzato dalle Amministrazioni locali o dalla Protezione civile o dal Servizio sanitario nazionale o dal FAI o dalla Caritas?…