Imparare a raccontarsi. Gli esami e il “maxiorale” da affrontare

Migliorare il linguaggio dei giovani significa anche guidarli sulla via della moderazione e dell’espressione non ostile, indicare loro sinonimi e termini adeguati.

Sono circa 490.000 gli studenti che dal prossimo 16 giugno affronteranno gli Esami di maturità 2021, in versione nuovamente rivisitata causa pandemia.

Sostanzialmente dovranno cimentarsi nella realizzazione di un elaborato sulle discipline di indirizzo e poi affrontare quello che è stato definito un “maxiorale”, o “orale rinforzato”. I ragazzi giungeranno di fronte alla commissione corredati di un curriculum che comprende il percorso scolastico e le attività effettuate in altri ambiti, come sport, cultura, volontariato, ecc.

“Studentesse e studenti, attraverso il loro elaborato, potranno dimostrare ciò che hanno appreso e compreso, la loro capacità di pensiero critico e di esprimersi”, queste le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

Un unico colloquio orale attende anche gli alunni della scuola media, chiamati a produrre e illustrare un elaborato multidisciplinare da sviluppare attorno a una tematica assegnata dal Consiglio di classe.

Insomma i nostri ragazzi dovranno dimostrare le proprie capacità e competenze attraverso l’esercizio della parola, quell’abilità che nel mondo antico era chiamata “ars dicendi”. Una vera e propria arte, cui all’epoca venivano dedicati studi e applicazione.

Il linguaggio, la capacità di esprimersi e costruire collegamenti logici tra i diversi argomenti costituiranno l’oggetto principale della valutazione. Come se la caveranno gli esaminandi?

Ultimamente si parla molto della comunicazione giovanile. C’è curiosità su aspetti che denotano una società in trasformazione, ma anche allarmismo rispetto alla perdita di alcuni vocaboli e forme espressive. Si parla poi, sempre più frequentemente, della comunicazione digitale come nuova frontiera dello scambio linguistico fra umani e anche non umani.

Durante l’adolescenza il linguaggio è soprattutto un modo attraverso cui sperimentare la propria identità in relazione con gli altri, spesso si trasforma in un codice di appartenenza a un gruppo o a una realtà. Attraverso le parole si esprimono pensieri e va raffinandosi la nostra capacità di pensare, se le parole sono poche e imprecise anche il pensiero avrà le medesime caratteristiche. È importante quindi cercare di aiutare i giovani a far evolvere la propria capacità di comunicare concetti, emozioni e sentimenti. Con gli esami i nodi vengono al pettine. Non è facile parlare di fronte a una commissione, bisogna avere una buona autostima e anche una solida preparazione. Parlare è un mix di molte cose: focalizzare i pensieri, riuscire a sintetizzare i concetti, trovare parole efficaci, costruire collegamenti, gestire le proprie emozioni e perfino respirare in maniera corretta.

Dovremmo tornare anche noi a coltivare con dovuto riguardo l’ars dicendi. Soprattutto perché la maggior parte della comunicazione fra i nativi digitali avviene in maniera mediata: in chat, o attraverso messaggi vocali.  La comunicazione social ha infiniti pregi, come la tempestività e l’efficacia, ma anche molti limiti, soprattutto sul versante emotivo. Difetta, infatti, di empatia e non consente il rispecchiamento nell’altro. Tende, poi, a prendere strane derive, come quella dell’aggressività o della polemica fine a se stessa.

Migliorare il linguaggio dei giovani significa anche guidarli sulla via della moderazione e dell’espressione non ostile, indicare loro sinonimi e termini adeguati.

S’impara a parlare anche raccontando e di raccontare queste generazioni hanno tanto bisogno, perché nelle case si dialoga sempre meno e in maniera sincopata e perché parlare vuol dire anche riscoprire l’ascolto.

La scuola sta sperimentando nuove metodologie con le tecniche dello storytelling e del debate. Il primo finalizzato alla costruzione di racconti in maniera individuale e cooperativa, il secondo per insegnare a “dibattere” tra pari, quindi confrontarsi sulle idee e ad argomentare le proprie ragioni.

Il lavoro da fare, però, è molto, soprattutto perché c’è da stare al passo con la rivoluzione digitale. La comunicazione si raffina e si studia nelle aule, ma nasce e sviluppa soprattutto fra le pareti domestiche.