Attraverso la lettura passano sentieri impensabili che ci collegano alla religione. E alla musica

Attraverso la lettura passano sentieri impensabili che ci collegano a dimensioni come la musica o la religione.

Nella nostra necessaria clausura potremmo cadere nella tentazione, soprattutto se siamo abituati a pensare alla lettura come ad un obbligo, di credere che in fondo ci “stiamo accontentando” dei libri per passare il tempo. Sarebbe un errore: soprattutto perché attraverso la lettura passano sentieri impensabili che ci collegano a dimensioni che riteniamo molto più leggere, come la musica, o, al contrario, più profonde e “serie”, come la religione.

Facciamo qualche esempio. Il premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan ha causato grandi mal di pancia ai benpensanti: “ma come: un roco cantante di strada che va in giro con chitarra ed armonica ad ammannire ballate sempre uguali sulla vetta più alta della letteratura? Che tempi!”. Se sapessero che il mondo della letteratura è pieno di questi strani incroci forse se ne farebbero una ragione. E verrebbero a sapere che Dylan si è alimentato non solo con i gospel cantati in chiesa dalla gente di colore, ma proprio con la Bibbia, come in “Ho visto in sogno sant’Agostino”, pretesto (il santo qui muore martire, e quindi non è né Agostino d’Ippona né quello di Canterbury) per parlare dell’indifferenza alle parole del Vangelo, o come in “Tre angeli”, in cui le creature celesti scendono ad allietare con il loro canto la frettolosa gente della città, ma “nessuno sente la musica che suonano, nessuno neppure ci prova”. Un caso? Allora vi sorprenderà sapere che un “collega” di Dylan, il cantautore Pete Seeger, negli anni Sessanta scrisse una ballata, “Turn turn turn”, che ebbe successo grazie anche alla cover di un gruppo “elettrico”, i Byrds (interpreti anche di una celebre canzone di Dylan, “Mr. Tambourine man”): quella ballata non era altro che una ripresa dell’Ecclesiaste, del suo inno al rincorrersi delle stagioni e alla necessità del dire sì a questo passaggio: “c’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e per sradicare le piante, un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire”. E visto che ci siete, il consiglio è di leggervi tutto Qoélet, perché è di una bellezza struggente, e questo incontro tra bellezza, fede e saggezza ha influenzato perfino la grande poesia, quella “alta”, l’Eliot del “Canto d’amore di Prufrock”, e anche un romanzo che non ti aspetteresti, testimonianza della crisi morale del Novecento, “Berlin Alexanderplatz” di Alfred Dӧblin (1929), in cui gli ammonimenti biblici improvvisamente si fanno largo nel moderno disordine babelico. Ma pure il Cantico dei Cantici non è passato inosservato, viste le sue riprese in letteratura, poesia, musica, per non parlare del Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi, non solo punto di riferimento per l’enciclica papale “Laudato sì”, ma anche di “semplici” cantautori come Branduardi, solo per fare un nome. Anche Fabrizio De Andrè, che non era certamente un uomo di chiesa, ha dedicato un lp ai vangeli apocrifi, e la figura di Cristo o il richiamo a Dio tornano spesso nella musica leggera, come in “Oggi un Dio non ho” di Raf e “Anche tu” cantata dallo stesso Raf e da Eros Ramazzotti; ma qui le citazioni non finirebbero mai, da Leonard Cohen a Santana passando per Gemelli Diversi, De Gregori, Venditti, Depeche Mode, Jovanotti, Muse, Metamorfosi, Rovescio della Medaglia (autori di un lp che si chiamava proprio “La Bibbia”), Latte e miele, Renato Zero. Senza dimenticare la pietra miliare Jesus Christ Superstar. E allora salutiamoci con le parole di un altro che di rapporti tra Dio e canzone/poesia se ne intende, che in questi giorni rappresentano davvero un dono augurale. Non c’è bisogno che vi diciamo chi.

Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
dalle ossessioni delle tue manie.
Supererò le correnti gravitazionali
lo spazio e la luce per non farti invecchiare;
e guarirai da tutte le malattie