Giovanni Scifoni, il comico che racconta i santi. “Oggi chi non si schiera è perduto”

Ha iniziato la carriera artistica come fumettista, poi attore, drammaturgo, regista, conduttore televisivo, YouTuber spassoso e istruttivo, è Giovanni Scifoni, ragazzo del ‘76, dalla mente sveglia e attiva, che “una ne fa cento ne pensa”, coinvolgendo la sua simpaticissima famiglia: la moglie Elisabetta, sposata nel 2005, e i loro tre figli, Tommaso di 14 anni, Cecilia di 11 e Marco di 7. “Oggi è Sant’Antonio di Padova, il santo più venerato al mondo, in ogni chiesa d’Italia c’è una statua di Sant’Antonio”, una delle pillole sul “Santo del giorno” all’interno del programma di Alessandro Sortino “Beati voi” su Tv2000. 

Un’idea originale e vincente, infatti, i video SantoDelgiorno sono virali sui social e su YouTube. Vincente e originale anche “La mia jungla” webserie, genere commedia a tema famigliare del 2020 su RaiPlay, ideata dall’attore con la collaborazione di Gero Arnone, in 10 episodi da 4 minuti, che ha vinto il prestigioso premio internazionale Prix Italia 2020 – come Best Web Fiction. 

Divertentissimi i siparietti comici e ironici di Casa Scifoni, dove il Pater familias, spesso messo in minoranza, ha provato a rispondere alle domande che hanno inquietato gli italiani durante il lockdown. 

Citiamo anche la serie: “Miti, Eroi e Merendine”, podcast in onda su RTL, in collaborazione con LUX VIDE, scritto da Giovanni e Christian Raimo e pensato per tutta la famiglia, in cui Giovanni Scifoni racconta i miti classici in chiave moderna e prendendo spunto dalle sue esilaranti esperienze quotidiane all’interno delle mura domestiche. Risate e applausi a scena aperta. Come se tutto questo non bastasse, Scifoni ha profuso la sua energia anche nella scrittura. È in libreria il suo libro d’esordio “Senza offendere nessuno. Chi non si schiera è perduto” (Mondadori 2021, pp. 204, 18 euro), nel quale l’autore spiega per quale motivo il nostro non è un Paese per ornitorinchi.

Giovanni Scifoni nato e cresciuto in una famiglia cattolica, quarto di sei figli, diplomato nel 1998 presso l’Accademia nazionale d’Arte drammatica di Roma, durante la sua carriera si è brillantemente diviso tra cinema, teatro e televisione, lavorando in numerosi film e serie televisive tra cui “La meglio gioventù” (2003), “Mio figlio” (2005), “Io non dimentico” (2008), “Una pallottola nel cuore” (2016–2018), “Squadra antimafia 7” (2014) e  “Doc – Nelle tue mani” (2020). 

Dialoghiamo con Giovanni al termine di una giornata di lavoro trascorsa sul set di “Doc 2”, del quale si sta attualmente girando la seconda serie; la prima ha avuto ascolti da record. 

  • Giovanni, è dunque vero che chi non si schiera è perduto? 

«Certo! Sparisce, scompare. Se non trovi una squadra forte, ideologica e che ti copra le spalle non esisti. Se sei una persona dello spettacolo o un opinionista e ti invitano a un talk-show, subito ti chiedono: “Ma lei, da che parte sta? Pro o contro il ddl Zan? Pro o contro il vaccino? Pro o contro questo o quello?”. Se tu cerchi di dare una risposta ampia e articolata, beh, il conduttore del talk-show va nel pallone, non sa come posizionarti e quindi  sparisci, scompari. Oggi è questo l’ABC della comunicazione televisiva. Devi avere una posizione. Sbaglia chi dice che non bisogna dire niente, perché esiste solo “il pensiero unico dominante”. Non è vero, non esiste. “Il pensiero unico dominante” è sempre quello degli altri, di chi la pensa sempre al contrario di come la pensiamo noi. Io sono cattolico da sempre e da quando sono bambino sento i cattolici lamentarsi che il mondo è tutto ateo, “viviamo in un mondo governato dal pensiero unico ateista secolarizzato”. A scuola i miei compagni di classe e i professori marxisti leninisti e atei invece asserivano che il mondo era indottrinato dal pensiero unico dominante cattolico perbenista: “Sono tutti cattolici”. Ognuno pensa di essere un pensiero libero rispetto alla dominanza, questa cosa avviene continuamente e io non ne posso più! È insopportabile! Alla maggioranza delle persone piace schierarsi, quindi non esistono più le notizie, esistono gli schieramenti. Ecco perché nauseato da tutto ciò, ho voluto scrivere questo libro, dove in 21 capitoli racconto la vicenda di un tizio che si chiama Giovanni, come me, il quale affronta 21 problemi quotidiani. Continuamente, in modo ossessivo, tutti chiedono a Giovanni di schierarsi mentre lui cerca di rivendicare il suo essere un ornitorinco, cioè una persona che non ha una classificazione ben definita. Ma è impossibile, perché non si può vivere da ornitorinco dato che in natura gli ornitorinchi non hanno posto. L’ornitorinco è un piccolo mammifero semi-acquatico endemico della parte orientale dell’Australia, ma la fauna australiana è respingente nei suoi confronti, ha centomila predatori, se lo vogliono mangiare tutti, è attaccato continuamente». 

  • Per quale motivo nel libro ha scelto come animale guida l’ornitorinco? 

«Proprio perché l’ornitorinco è un mammifero ma depone le uova, allatta i suoi cuccioli ma non ha i capezzoli, secerne il latte direttamente dalla pelle come fosse sudore, ha i piedi palmati, la coda da castoro, il becco come un’anatra e il pelo come una lontra. È un miscuglio e dal punto di vista ideologico è un animale inesistente. Il problema di oggi è la prevedibilità dell’opinione, pensiamo a Roberto Saviano, Vittorio Sgarbi, Fedez, David Parenzo, ecc… non ho bisogno che Saviano parli per sapere come la pensa su di un determinato argomento, perché lo so già ancor prima che esprima la sua opinione. Quello che non so è come esprimerà la sua opinione, l’unica variabile è quindi la modalità dell’espressione. Ecco perché la figura dell’intellettuale come Pier Paolo Pasolini, oggi non esiste più, perché le parole, le dichiarazioni e gli scritti di Pasolini non erano mai prevedibili. Tornando a Giovanni, il protagonista del mio libro, lui tenta di rivendicare il proprio essere ornitorinco ma non ce la fa mai. Perde sempre». 

  • Il “Santo del giorno”, i cui video spopolano su YouTube, La mia jungla”, ora su RaiPlay, la webserie girata con i bambini e Sua moglie durante il lockdown, “Miti, Eroi e Merendine”, tutti grandi successi. Se lo aspettava? 

«No, ma il successo non è che sia arrivato all’improvviso da un giorno all’altro. Sto vivendo un momento molto felice dal punto di vista professionale, mi si dà credito, mi si affidano progetti importanti e questo mi fa un enorme piacere. Ho 45 anni e lavoro da molti anni, ho alle spalle anni e anni di “officina”. Piano piano, un attore la credibilità artistica se la conquista a suon di “mazzate”, cioè con tanta fatica e con tanta voglia di sperimentare». 

  • Essere cattolico praticante quanto ha influito sul Suo lavoro? 

«Mi viene in mente un episodio divertente. Anni fa il giorno prima che io arrivassi sul set si era presentato un delegato Mediaset che aveva convocato tutta la troupe per fare il solito discorsetto cerimonioso in occasione dell’inizio delle riprese. Dopo le frasi di rito, gli auguri scaramantici e tutto il resto, aveva aggiunto una piccola raccomandazione: “Ragazzi, domani arriverà sul set Giovanni Scifoni, è cattolico praticante, non potete bestemmiare”. Poveracci! Peccato che il set sia il trionfo dell’imprecazione, se gliela togli, gli togli la terra da sotto i piedi. Non mi sono mai scandalizzato per aver sentito imprecare qualcuno, eppure la bestemmia ha il potere di farci sussultare. Quando sono arrivato sul set ero già marchiato e identificato, la mia etichetta di cattolico praticante mi aveva preceduto. Del resto chiunque di noi ha un’etichetta. Su quel set ho dovuto fare una fatica incredibile per farmi voler bene, perché la troupe si era già fatta un’idea precisa su di me. Sbagliato pensare che la convinzione ideologica di una persona rappresenti quella persona. Se incontriamo un cattolico, lo immaginiamo in un certo modo, se incontriamo un vegano o un fascista idem. Ma non è così. Manca la curiosità di sapere chi hai di fronte».

  • Ha lavorato al fianco di Gigi Proietti nella miniserie televisiva “L’ultimo Papa Re” e in “Una pallottola nel cuore”. Che ricordi conserva del grande attore? 

«Era un attore estremamente gentile e generoso sulla scena. Un attore che tendeva sempre a includerti quando recitavi insieme a lui, Proietti aveva a cuore come tu avresti detto la battuta, non solo come la diceva lui, che la diceva perfetta. Gigi Proietti è sempre stato un maestro, un pedagogo. Ci teneva molto a questo ruolo “pedagogico”, di chi sta insieme ai ragazzi, alla classe. Era il classico maestro di classe, Proietti sentiva la responsabilità di essere un attore che insegnava agli attori più giovani, alle prime armi. Questa dote gli attori non sempre la possiedono». 

  • Prima del lockdown era in scena con il Suo monologo “Santo piacere”, vincitore de “I Teatri del Sacro”. Quando riprenderà lo spettacolo? 

«Non lo so ancora! Credo quando sarà sostenibile economicamente farlo, perché questo è il problema. Andare in scena con il terzo del pubblico in sala vuol dire ricominciare lentamente a tirare su il sipario e a riavvicinare il pubblico al teatro. Così però manca il senso più viscerale del teatro, che è quello di una grande ammucchiata, perché il palcoscenico teatrale ha bisogno di folla, di pubblico che sta tutto stretto, che sgomita e applaude soddisfatto e felice. Ha senso riaprire i teatri, anche se c’è un solo spettatore in sala, io l’ho fatto tante volte, sono entrato in scena per 6/7 persone. Ma così non si centra l’obiettivo di avere di fronte a te una folla entusiasta e scalpitante».

  • Dopo mesi e mesi di chiusura, le sale cinematografiche e teatrali hanno riaperto i battenti. Servirà a dare un po’ di ossigeno a un settore in crisi nera? 

«È ancora troppo presto. Non sarà facile riprendere, la gente ha paura. Molti miei colleghi attori stanno facendo la fame. Io sono un privilegiato, perché posso permettermi di campare anche senza il teatro, molti dei miei colleghi no».