I giovani sembrano oggi più capaci e attrezzati degli adulti di affrontare la precarietà del lavoro e le insicurezze di una vita sempre più fragile: sono nati nelle incertezze, sono diventati dei “navigatori” e chiedono di incontrare adulti capaci di guidarli e passare loro il testimone. È una lettura forse inedita, certamente carica di speranza, quella che Ivo Lizzola, già preside della facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Bergamo, propone riguardo alla realtà giovanile.
Ormai il 40 per cento dei giovani è senza lavoro e la metà di loro è precario, costretta in una sorta di “limbo”, senza identità professionale e familiare. Cosa ne pensa?
«Il mondo adulto tende a dare una visione dei giovani come “precari”: in realtà molti giovani vedono la propria condizione non come segnata da precarietà, ma da tratti di incertezza, da un cammino di riprogettazione continua delle condizioni della vita. I giovani sono nati nell’incertezza e si percepiscono meno precari di come li vedono gli adulti che vengono da un tempo di stabilità ormai messo in discussione. I giovani di oggi sono più dei navigatori che dei naufraghi, stanno apprendendo prima degli adulti l’arte dell’attraversamento, della navigazione, della negoziazione continua; il nostro è il tempo dell’esodo e loro vi si sono abituati prima e più degli adulti. Certo, questo non è l’esodo verso una terra promessa dai contorni definiti; piuttosto chiede di camminare serbando e costruendo una promessa».
A tal proposito condivide l’analisi del sociologo Ilvo Diamanti riguardo al fatto che gli adulti di oggi hanno rubato il futuro alle nuove generazioni?
«In parte sì: gli adulti hanno consumato molte risorse, anche etiche e culturali, che non sono più disponibili e che non sono più adatte ad interpretare questo tempo. Ma nelle scuole, negli oratori, nelle amministrazioni pubbliche ci sono anche molti adulti capaci di una “consegna”: sono persone che passano il testimone dando ai giovani anche gli strumenti perché possano iniziare il loro cammino. Finalmente il rapporto giovani-adulti inizia a disegnarsi come il legame tra chi consegna e chi riceve per un nuovo inizio; spinto ed atteso ad un nuovo inizio».
Ma i giovani di oggi “contano” meno che nel passato?
«Dal punto di vista sociologico e politico sì. Ma sul piano economico pesano più di quanto pensiamo proprio per le loro capacità di innovazione, di start up, di generare il nuovo: nella vita dell’esodo hanno più competenze e capacità di adattamento».
Qual è il ruolo di internet e della rete nel mondo giovanile?
«Possono giocare un ruolo molto grande. Attenzione: la rete può essere il luogo dove la personalità si disperde e si appiattisce. Ma può essere vero anche il contrario. Sto incontrato tanti giovani che stanno dando vita a iniziative di solidarietà a distanza proprio grazie alla rete. È impressionante la loro capacità di sostegno a distanza. La rete può essere un nuovo strumento di prossimità e di vicinanza».
Che cosa si aspettano i giovani di oggi? Per cosa sono disposti a combattere?
«Quella dei giovani è un arcipelago variegato. Quando la vita è dura si può essere costretti a concentrare tutte le proprie energie su se stessi per sopravvivere. Ma ci sono anche molti giovani che hanno bisogno di sentire che gli adulti li aspettano, di vedere cantieri nuovi, costruiti per loro, dove sono invitati ad entrare e lavorare con le loro capacità; si aspettano fiducia, vogliono avere la possibilità di individuare quegli orizzonti a cui sono chiamati; dal mondo adulto aspettano provocazioni forti che li obblighino a giocare le loro risorse. Ma, talvolta, gli adulti si sottraggono ai loro compiti educativi».
Gli oratori sono sempre più frequentati anche da “giovani adulti”. In cerca di cosa? E gli oratori cosa possono offrire loro?
«Gli oratori non sono più luoghi di esperienze totali: devono puntare alla significatività delle esperienze che i giovani (penso ai giovani over 18) vivono nel loro transitare da un luogo all’altro. Oggi l’oratorio deve favorire una ricomposizione e un’indagine sul senso delle tante altre esperienze che il giovane vive; ma esso stesso deve essere un luogo capace di farti scoprire lo sguardo da assumere sulla realtà. Dall’oratorio si deve, poi, andare oltre: la scuola, il lavoro, gli impegni, la crisi portano altrove; ma all’oratorio si può tornare per ricaricarsi, confrontarsi, capire, consegnare ad altri quanto maturato. L’oratorio è il punto di approdo di un cammino di andata e ritorno; deve essere una realtà capace di creare buoni invii ma anche una buona accoglienza, verifica e rilancio. Negli oratori si stanno costruendo reti di giovani famiglie che ricercano nuove occasioni d’incontro per, poi, rilanciare il proprio impegno nella società e nel lavoro. L’oratorio può essere il luogo dove costruire e mantenere legami forti: perché dentro l’esodo il rischio di solitudine è molto grande».