Caro Don Sergio

Caro don Sergio,

nel momento in cui, come dice sant’Agostino, ti sottrai agli occhi per entrare meglio nel cuore, lascia che sia la tua comunità parrocchiale a mandarti una lettera, sul modello di quelle lettere, immaginarie ma così vere, che tu ad essa rivolgevi nelle occasioni importanti e che spesso ti commuovevano fino a fari interrompere il discorso.

Quando sei arrivato tra noi, più di 32 anni or sono, nell’estate del 1981, sei entrato con discrezione tanto che la comunità parrocchiale allora in sofferenza non ha nemmeno salutato il tuo ingresso. Per primo ti hanno conosciuto gli anziani e gli ammalati. Oggi c’è una folla di popolo, dalla quale puoi misurare quanto tu ti sia impossessato del cuore dei tuoi fedeli, che hai reso tuoi amici in forza della tua grande capacità di ascolto e di penetrazione nell’animo di ciascuno. Noi vorremmo essere capaci di scoprire le parole che trovavi tu nel momento dei lutti e dei tanti funerali da te celebrati, tutti diversi l’uno dall’altro: dove il lutto era la chiave che apriva la porta dell’animo dell’uomo colpito e lo faceva riflettere sul senso della sua vita e individuava nell’itinerario del defunto il cammino da lui fatto per diventare uomo, prima di consegnarsi al mistero della speranza.

REDONA E DON SERGIO

A noi servirà molto tempo per elaborare il nostro lutto. E però questa moltitudine di popolo che partecipa al tuo commiato dice chiaramente che, anche se non sempre la tua comunità ha capito il tuo progetto, sempre è stata grata ed orgogliosa della tua presenza, che dava dignità culturale alla sua fede ed era fiera che tu la riassumessi, al punto che, non solo negli ambienti religiosi ma anche nella comunità civile, dire Redona era come dire don Sergio, per via di quella tua capacità di essere rappresentativo delle istanze congiunte dell’uomo e di Dio. Noi sapevamo bene che tu eri patrimonio non solo nostro, ma di tutta la Chiesa di Bergamo, e questo ci inorgogliva più che ingelosirci. Perché abbiamo percepito che non davi le briciole al tuo popolo, ma dentro di esso maturavi le prove del tuo carisma, senza smanie o ambizioni carrieristiche, che hai espressamente rifiutato per restare fedele, in un rapporto sponsale, alla costruzione di una comunità comune qualsiasi, di una periferia urbana anonima come tante altre, che tu hai reso preziosa ai tuoi occhi e poi agli occhi altrui. Parroco in un post-moderno quando tutto muta rapidamente, tu, che ringiovanivi la Chiesa come pochi sanno fare, fosti un parroco all’antica, sempre presente: di quei pochi che hanno e danno la grazia di morire nella loro parrocchia e ne diventano titolari per sempre.

TUTTO A TUTTI

Nel momento del saluto è impossibile ed inutile ripercorrere quello che hai fatto per noi e tra noi: ci vorrà tempo per assorbire il tuo progetto e il tuo lascito sarà oggetto di meditazione e di preghiera. Il ricordo poi è cosa singolare, che è depositato in forme diverse dentro ciascuno di noi. Ma una cosa penso che accomuni tutti i diversi nostri ricordi. Tu che pure avevi un’alta capacità di discorso catechetico ed omiletico, dove davi spessore culturale alla evangelizzazione, prediligevi esercitare lo stile della relazione. È questo stile che pervade tutti i ricordi. Con chi cercava affetto e amicizia spendevi la tua eccezionale capacità affettiva; a chi cercava intelligenza, davi i tesori della tua lucida intelligenza; per chi cercava un canto, tu intonavi un canto allegro o dolce; con chi ti proponeva un gita in montagna, tu camminavi gustando i passi e il senso del camminare; chi ti parlava dell’Atalanta, trovava in te una sponda appassionata e competente e maturava le ragioni umane e non dividenti di un’appartenenza; ai fidanzati facevi assaporare le strutture dell’amore aperte al divino perché umane, il valore umano del patto che andavano a stringere; a chi voleva costruire la città, tu davi preziose coordinate antropologiche e non semplici o interessati suggerimenti tecnici; ogni piccolo problema che ti era posto da qualcuno, lo facevi diventare una cosa seria, perché era importante per chi te lo poneva, e perché cercavi di fare verità su tutto. E soprattutto: chi ti accostava aveva sempre la sensazione che tu fossi lì ad aspettare proprio lui e solo lui; e invece questo avveniva perché ti facevi tutto a tutti.

SANTITÀ PASTORALE

Con pudore osiamo spendere qui una parola impegnativa, che tu non avresti mai usato per te e che possiamo dirti solo ora senza turbare la tua sensibilità: la parola santità, se essa non fosse inquinata da rappresentazioni devozionalistiche. Una santità competente al tuo ruolo: diremmo una santità pastorale, di stile nuovo perché modellata sulle ragioni della modernità, santità “senza candele”, che non contrappone Dio all’uomo, ma cerca una alleanza nuova.

TENEREZZA

Quando ci si saluta, ci si dà un semplice abbraccio che tutto riassume e si prepara l’attesa dell’arrivederci. Nel tempo del frattanto, che per molti e per i giovani che hai coltivato sarà lungo, nel tuo nome, vogliamo non disperdere quel tuo stile: quello che a te, tante volte e sempre più col passare degli anni, piaceva riassumere nella parola tenerezza, che non era sdolcinata parola sentimentale, ma l’essenza della misericordia di Dio verso l’uomo e dell’uomo verso il suo simile. Nel nome di questa ti sia gradito, caro don Sergio, ricevere, col nostro grazie, il saluto con cui tu accomiatavi -teneramente, appunto- tanti nostri incontri: Il Signore ti conceda una notte serena e un riposo tranquillo.

 

Un omaggio dell'artista Luigi Oldani a don Sergio Colombo
Un omaggio dell’artista Luigi Oldani a don Sergio Colombo