Coppie scoppiate

«Nel nostro nido noi viviam felici, lui mi corteggia come il primo dì. Sempre gentile, sempre innamorato, lui vuol sempre stingermi e baciarmi con passione». «Ma se ti lascia sola sola in casa, il tuo tesoro vuoi saper che fa? Dopo aver chiuso tutte le finestre in cucina lascia aperto il gasss…». Era il 1963 quando il Quartetto Cetra incideva questa “Però mi vuole bene”, che, con il consueto garbo e la proverbiale ironia, raccontava di un marito affettuosissimo ma, guarda caso, sempre pronto a cogliere l’occasione per disfarsi dell’”adorata” mogliettina («Ma lui mi vuole bene, bene da morir» recitava il ritornello. Detto per inciso, attenzione a farvi portare sulla Tour Eiffel… «Che fa ragioniere, spinge?»: era, invece, il 1959 quando ne “Il vedovo”, Dino Risi metteva in scena la coppia formata da Alberto Sordi e Franca Valeri nei panni, rispettivamente di Alberto Nardi e Elvira Almiraghi. Lui, romano senza arte né parte, ha sposato lei, ricchissima milanese ma, per una serie di circostanze, la vuole eliminare.

ASPIRANTI VEDOVI

Basato sulla sceneggiatura di quel capolavoro di umorismo nero, è nelle sale “Aspirante vedovo” di Massimo Venier con la coppia formata da Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto ennesima coppia scoppiata che, al pari dell’originale (ma il confronto, dal quale ci asteniamo, sarebbe impietoso), vogliono risolvere i loro problemi di coppia in modo definitivo. Insomma, tutto questo per dire che il vizietto di risolvere drasticamente i problemi di coppia è di antichissima data, se pensiamo solo al Monsier Verdoux di Charlie Chaplin (1947). Ma, in tempi in cui il cosiddetto femminicidio riempie quasi quotidianamente le pagine della cronaca, sarà bene tenere questi esempi un po’ fuori quadro, citandoli solo perché, appunto, ognuno al suo modo, trattano l’argomento con il garbo irriverente dell’humour nero. Detto questo, al cinema la “coppia scoppia”, per citare il film omonimo di Steno del 1981, anche senza arrivare a quelle estreme conseguenze.

MATRIMONI IN SCENA

Farne il catalogo sarebbe impossibile e forse anche inutile («Madamina, il catalogo è questo», cantava Leporello nel Don Giovanni di Mozart: «In Italia seicento e quaranta; In Alemagna duecento e trentuna; Cento in Francia, in Turchia novantuna; Ma in Ispagna son già mille e tre»). Anche perché, davvero, per restare in ambito mozartiano così fan tutte (o quasi). Scorrendo la filmografia di Woody Allen, per esempio, gli esempi abbondano complicati dalla miriade di varianti che il genio di Manhattan ha saputo confezionare. “Mariti e mogli”, “Hanna e le sue sorelle”, lo stesso “Manhattan”, “Io e Annie” e via via fino ai recenti “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni” o “Midnight in Paris”. Ripetiamo, fare un elenco sarebbe inutile oltre che noioso. Diamo allora giusto uno sguardo a qualche titolo. Quando la coppia scoppia, come si sa, spesso ci vanno di mezzo i figli: chi ha dimenticato l’epocale scontro in tribunale di “Kramer contro Kramer” (1979) di Robert Benton con Robert Redford e Meryl Streep, film che si portò a casa ben cinque premi Oscar? Chi non ricorda l’altrettanto epocale “La guerra dei Roses” (1989) di Danny De Vito che lo interpreta insieme alla coppia del titolo formata da Michael Douglas e Kathleen Turner (titolo che rimanda alla guerra delle due rose, quella tra i Lancaster e gli York)?

DA ALLEN A BERGMAN

E ancora, pur con tutte le sue contraddizioni, ha avuto un suo certo peso il film di Gabriele Muccino “L’ultimo bacio” (2000) con Stefano Accorsi e Giovanna Mezzogiorno, dove in crisi sono i trenta-quarantenni mai veramente cresciuti. O, ancora, i più maturi Margherita Buy e Antonio Albanese alle prese con la crisi di copia e quella economica in “Giorni e nuvole” (2007) di Silvio Soldini. E poi, ancora, commedie e commediole sull’argomento ne sono uscite tantissime. Però si può anche affrontare l’argomento in modo serio e intelligente: prediamo due film diversissimi. Orso d’oro al Festival di Berlino e premio Oscar per il miglior film straniero, nel 2011 esce il folgorante “Una separazione” del regista iraniano Asghar Farhadi che racconta di un divorzio complicatissimo di per sé, appesantito da dinamiche familiari esasperate, dalla malattia del padre di lui, dal desiderio di emigrare della moglie, dalla figlia divisa tra l’uno e l’altra. Era invece il 1973 quando gli spettatori che si sintonizzavano sul secondo canale della televisione italiana si imbattevano, restandone stupefatti e ammaliati, in uno dei più grandi film del regista svedese Ingmar Bergman: “Scene da un matrimonio”, trasmesso in sei puntate. Un film che racconta dieci anni di vita di una coppia – gli straordinari Liv Ullmann e Erland Josephson – dall’amore al tradimento, alla separazione, alla riconciliazione. Ma, a proposito di amore vero, chiuderemmo affidandoci ancora al Woody Allen di “Prendi i soldi e scappa”: dice il protagonista, Virgil Starkwell (lo stesso Allen): «Dopo quindici minuti avevo capito di amarla per l’eternità, e dopo mezz’ora avevo completamente rinunciato all’idea di rubarle la borsetta»: ma lui mi vuole bene, tanto bene, bene da morir.