Incontro di note

Un arabo, un ebreo, un libanese e un egiziano assieme. Quattro etnie a dir poco diverse, tre grandi religioni monoteiste spesso opposte e inconciliabili tra loro. Eppure un percorso insieme è possibile. Un modo pubblico di stare assieme lo hanno proposto anche a Bergamo i musicisti dell’ensemble Noyallah, Eyal Lerner (Israele) ai flauti,  Ghazi Makhoul (Libano) al liuto arabo, Denis Stern (Israele) alla chitarra e Tarek Awad Alla (Egitto) alle percussioni. Nella conclusione di “Pace e guerra” del cartellone “Molte fedi sotto lo stesso cielo” i quattro, con due giovani percussionisti aggiunti e un piccolo coro, hanno dato prova del loro incontro musicale in una affollata chiesa di Loreto.

Ne è nata una lezione che va molti più in là della “tolleranza” e del “dialogo”. Come diceva il leader Eyal Lerner, la musica permette di fare una cosa incredibile: sovrapporre una preghiera araba e una israeliana. Una polifonia assolutamente inedita. Polifonia è proprio la parola giusta: la sovrapposizione di due, tre quattro e più voci diverse, autonome, armonizzate in un’unica proposta. Il maestro di questo genere, nella storia di sempre è Johann Sebastian Bach, per il quale la musica era una polifonia continua: era rendere e cantare  gloria a Dio, nella pluralità delle voci, simbolo e forma delle tante voci singole dell’uomo, simbolo di tutta l’umanità.

E il concerto ha dimostrato che una miscela di musiche etniche diverse funziona benissimo, crea nuove strade anche della musica, è un’esplorazione appassionante.

Un fondo, aggiungiamo, nella vecchia suite rinascimentale e barocca avveniva già qualcosa di simile: le varie danze messe in ordine l’una dopo l’altra pescavano da tante regioni allora diverse e spesso in guerra tra loro: la gavotta, la bourrée, il rigaudon e il minuetto francese, l’allemanda tedesca, la corrente, il saltarello e la gagliarda italiana, la pavana, la sarabanda spagnole, la giga irlandese, la polonaise polacca.  Tutte insieme, per creare un modello diffuso ovunque e ben vivo ancora oggi, cinque secoli dopo. La creatività dell’uomo (o di Dio ) non manca di stupire.