Cattolici e politica

Le elezioni non sono lontane e, come spesso capita in queste occasioni, è già iniziata la corsa al cattolico da mettere in lista. L’illusione, sbagliata, è ritenere che possa portare voti, che arriveranno o non arriverranno per molte ragioni, non certo perché un candidato professa di essere credente e praticante. E questo nonostante le difficoltà, accertate, di una presenza significativa, in termini di lievito, dei cattolici nella vita politica del nostro Paese.

SEMPRE LE STESSE PERSONE

In realtà, da anni, da noi in terra bergamasca la corsa al cattolico e la richiesta di entrare in lista sono concentrate quasi sempre sulle stesse, poche, persone. Cosi come nel dibattito pubblico, sui temi di rilievo della convivenza civile, intervengono, quasi sempre, le stesse, poche, persone. Un segnale che dovrebbe preoccuparci.

In un documento episcopale del 2005 (“Fare di Cristo il cuore del mondo”) si ammette per la prima, e forse unica, volta, l’indebolimento del laicato e la sua scomparsa dal proscenio della Chiesa. «Non sempre l’auspicata corresponsabilità (dei laici) ha avuto adeguata realizzazione e non mancano segnali contraddittori. Si ha talora la sensazione che lo slancio conciliare si sia attenuato. Sembra di notare in particolare una diminuita passione per l’animazione cristiana del mondo del lavoro e delle professioni, della politica e della cultura ecc. A volte può essere che il laico nella Chiesa si senta ancora poco valorizzato e compreso. Oppure, all’opposto, può sembrare che anche la ripetuta convocazione dei fedeli laici da parte dei pastori non trovi pronta e adeguata risposta, per disattenzione o per una certa sfiducia o un larvato disimpegno»

Lo sappiamo e il Concilio ce lo ha ricordato: «È proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio», agire nel mondo «quasi dall’interno a modo di fermento» (Lumen Gentium, n. 31). Eppure qualcosa non funziona, anche in terra bergamasca.

Dopo la fine dell’esperienza democristiana, la gerarchia ha tentato di svolgere un proprio ruolo di interlocuzione politica e istituzionale a tutto campo, con “invasioni” di campo dagli esiti controversi e rinascite di soffioni anticlericali. Inoltre, il riconoscimento di un doveroso approccio “plurale” dei cristiani, oltre a frantumare l’insostenibile pretesa (a più di vent’anni dalla fine della Democrazia Cristiana!) di un’unica e omogenea traduzione culturale dell’impegno e della rappresentanza politica, ha posto la necessità di elaborare un corretto metodo politico. Che, a mio avviso, deve aver chiaro, in modo inequivocabile, il valore della laicità della politica e il senso della mediazione.

A tal proposito, vale la pena ricordare quanto scrisse Giuseppe Lazzati: «Guai se la cultura cristiana non venisse costruita attraverso un processo di mediazione culturale. Vorrebbe dire condannarla (e anche svuotarla) in un fissismo di principi ideali, incapaci di misurarsi con la dinamica del divenire storico, perché non incarnata nel qui e ora di una determinata situazione. Sicché è proprio della mediazione culturale dare l’idea di una via, di un cammino da percorrere per costruire un’autentica cultura cristiana che ha sempre la forza e l’efficacia di passare dall’ideazione alla realtà» (“Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali”, Ave, Roma, 1985, p. 120).

IL DEGRADO DELLA POLITICA E IL SILENZIO DEI CATTOLICI

La stagione politica che abbiamo alle spalle, è stata contrassegnata, per lungo tempo, da un desolante degrado morale e civile ai vertici delle istituzioni (rispetto al quale i cattolici sono stati troppo a lungo in silenzio) e la frattura, mai così profonda, tra cittadini e politica obbliga alla riscoperta di una “differenza cristiana” che si misura nella fedeltà al Vangelo e all’uomo del proprio tempo. Lo sappiamo: la fede non può essere confinata nella sfera privata. Coltiviamo però il sogno di una Chiesa mite, forte solo della Parola che la giudica, consapevole che non può ridursi a lobby né può imporre, nella città plurale, un’etica pubblica per tutti. Una Chiesa che entra pacificamente nell’agorà solo perché ha cura e passione per l’umano. Insieme, coltiviamo anche il sogno di cristiani che, laicamente, partecipano alla costruzione della città di tutti. Con competenza e non solo con buone intenzioni. Senza paure o remore, perché, in attesa del Regno, nel destino del mondo è inscritto il destino dei credenti. Dopo l’incarnazione, la storia è la grande basilica dove Dio ha lasciato tracce. «I care», era scritto sulla parete della stanza dove don Milani faceva scuola. Mi interessa, mi appassiona. L’esatto contrario – dicevano i ragazzi di Barbiana – del «me ne frego fascista». Scolpiamolo sugli stipiti delle case dei cristiani.

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