Vita alla Ciudad

«Quando siamo arrivate in Bolivia, a Santa Cruz, i bambini ci chiamavano mamma e chi chiedevano affetto, come se già ci conoscessero». Giulia, 20 anni, Michela e Andrea, entrambe 19, tutte e tre albinesi, fresche di diploma, sono tre ragazze grintose e in gamba. Quest’estate hanno passato un mese tra i campesinos partecipando a un viaggio organizzato dal Centro Missionario diocesano. «In tutto – raccontano – eravamo in quindici bergamaschi, quasi tutti giovani, e ci siamo poi distribuiti in diverse località e strutture della missione diocesana. È stato un modo per entrare in contatto con una realtà e una prospettiva del tutto diversa. Dopo tutte le ansie e le preoccupazioni che ci accompagnavano, all’aeroporto di Malpensa siamo partite con un bagaglio che conteneva salame, formaggio grana e tanta voglia di fare e di conoscere. Già nel primo viaggio in micro (il bus utilizzato in Bolivia) ci siamo accorte di quanto fosse diversa l’atmosfera, il paesaggio e la cultura. Durante i primi giorni a Santa Cruz abbiamo visitato uno dei 13 oratori della città».

Poi il viaggio ha fatto tappa in uno dei luoghi-simbolo della missione diocesana in Bolivia, la Ciudad de Los Ninos a Cochabamba, fondata da padre Antonio Berta una quarantina d’anni fa, «una delle opere di missione più grandi – osservano le ragazze – mai costruite in Bolivia. Il territorio in quarant’anni si è un po’ rimpicciolito ma l’organizzazione è rimasta quella di una volta. All’interno della struttura vivono centocinquanta ragazzi fino a diciotto anni che vivono in case separate (ragazzi e ragazze) e divisi a seconda delle età. Ogni casa ha due educatori che vivono con i ragazzi. All’interno delle mura della Ciudad c’è tutto ciò che serve: scuola, cucina, lavanderia, medico (presente per due volte alla settimana), psicologo e così via. I ragazzi e le ragazze più grandi aiutano nei lavori manuali e ad accudire i più piccoli, mentre per l’organizzazione amministrativa e la cucina, padre Gianluca Mascheroni ha dei collaboratori boliviani».

Ci è voluto forse qualche giorno per ambientarsi, ma alle ragazze non sono mancate fin dall’inizio le cose da fare: «Aiutavamo a turno in cucina, in lavanderia, all’asilo nido o alla scuola materna; abbiamo dipinto la facciata di un muro, organizzato feste di compleanno e aiutato i piccoli con i compiti». E così un giorno dopo l’altro Giulia, Michela e Andrea si sono un po’ innamorate della Bolivia. «Mi ha colpito – racconta Michela – la capacità di queste persone di dare valore a ogni gesto, anche ai più semplici».

Sono state in visita anche nella zona del Chapare, all’inizio della foresta amazzonica: «Lì c’è una succursale della Ciudad de Los Ninos che ospita circa 16 ragazzi. È a più di quattro ore da Cochabamba, perciò a gestirla in modo molto autonomo è una volontaria che vive con loro, sola e senza aiuti esterni. Il clima è umido e caldissimo, quindi uno dei loro passatempi preferiti è fare il bagno al Rio, il fiume che scorre lì vicino». Le tre giovani hanno visitato anche la casa agricola, un’altra parte della Ciudad de Los Ninos. In questa casa l’obiettivo principale è quello di riuscire a sostenersi con le proprie attività, infatti i ragazzi alternano le giornate a scuola con il lavoro dei campi. Oltre alla coltivazione sono aperti molto altri progetti, come quello della vendita dei maiali appena nati, che è stato finanziato in parte grazie anche agli aiuti provenienti da famiglie bergamasche. Un progetto che dovrebbe iniziare a breve riguarda l’allevamento delle api e la produzione di miele». È stata un’esperienza molto intensa per Giulia, Michela, Andrea e tutti gli altri giovani che sono partiti con loro e sono tornati «cambiati» dalla missione.

Il primo frutto visibile per le tre albinesi, che ora, tornate a casa, vengono chiamate spesso a raccontare la loro esperienza nelle parrocchie, è stato un pranzo boliviano con oltre centocinquanta persone. Lo scopo naturalmente era benefico, sostenere le attività della Ciudad de Los Ninos, ma alla fine è stato anche culturale: far conoscere le tradizioni e i piatti boliviani anche qui da noi e raccontare un’esperienza di vita molto forte. E così c’è già chi, come Michela, pensa già di ripartire: questa volta per un anno: «In Bolivia – spiega – ho trovato un senso, una direzione da seguire».

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