Memorie africane

Mi trovo in Rwanda per qualche giorno. Oggi è stata la giornata della visita ai Memoriali della tragedia avvenuta nel 1994 in Rwanda. Il primo è stato il Memoriale Gisozi a Kigali, il più importante in Rwanda, iniziato nel 1999 e inaugurato nel 2003. Il Memoriale si snoda in una lunga galleria con diciture in inglese, kinyarwanda, francese e le fotografie che raccontano dapprima la storia recente del Rwanda dall’occupazione tedesca nel 1894 e il passaggio della colonia al Belgio nel 1925. Il 1932 segna la data storica di un cambiamento di cultura e di mentalità in Rwanda: è introdotta dai belgi la carta d’identità che distingue nettamente gli hutu, i tutsi, i batwa (pigmei). Anziché parlare di un’unica società, d’ora in avanti si parlerà di classi o di etnie, favorendo e sviluppando l’inizio di un tribalismo che diventerà esasperante alla fine del secolo, fino ad arrivare alla fatidica notte del 6 aprile 1994. La galleria si attarda poi sul genocidio operato con tutti gli strumenti possibili! Infine “l’epopea gloriosa” dell’esercito del Fronte Patriottico Rwandese (tutsi), venuto dall’Uganda, per liberare la popolazione tutsi dai fanatici hutu! Tuttavia una minoranza di estremisti hutu (gli “interhamwe” o “guerrieri invincibili”) non deve essere confusa con la stragrande maggioranza degli hutu  che non voleva affatto questa tragedia!

Solo alla fine dell’esposizione c’è l’unica frase che ricorda l’eccidio commesso anche contro gli hutu moderati che spesso hanno difeso i tutsi nascondendoli nelle proprie case, troppo poco una frase come citazione perché il 10% degli uccisi era hutu e il 90% tutsi su circa un milione di vittime. Non parlo poi della bestialità e della ferocia con cui sono stati uccise tutte quelle vittime, specialmente le donne: stuprate, uccise, mutilate! Una statistica parla di 500.000 donne rwandesi, tutsi e hutu, stuprate in quel periodo di storia buia! Uomini e donne trucidati e sventrati con asce, frecce, pugnali, coltelli, ferri, zappe, frustini chiodati, pallottole, granate, torture, mutilazioni, smembramenti, accecamenti! Gruppi di persone bruciate o gettate vive nelle latrine e accatastate le une sopra le altre e lasciate a morire nell’asfissia.

Un reparto del Mausoleo era riservato al genocidio dei ragazzi e dei bambini. Come possa l’uomo diventare così crudele, sembra inverosimile! Entro in una sala con gli abiti degli uccisi e in un’ultima sala con i crani e le ossa di quei poveretti. Questi monumenti che evocano la memoria del Genocidio sono alquanto simili ad altri cimeli nelle varie nazioni del mondo: i campi di concentramento in Germania e il monumento ebreo Yad vaShem a Gerusalemme in memoria dell’Olocausto nazista hanno fatto scuola. Sono sceso nel parco per visitare le grandi tombe e rendervi omaggio. Ho contato almeno sei grandissimi ossari, dove sono deposti i resti di 250.000 vittime del genocidio: la notte del 6 aprile 1994, dopo il crash dell’aereo presidenziale, la città di Kigali fu chiusa al traffico con l’impossibilità di fuggire e già le pattuglie interhamwe circolavano per attaccare le abitazioni tutsi e sterminarvi le famiglie residenti. Sui grandi lastricati delle tombe comuni, cesti e mazzi di fiori dappertutto! Una lunghissima parete in nero recinge il parco e su di essa gradualmente saranno scritti i nomi delle persone uccise. Tutto è impressionante in questa storia: l’efferatezza dei crimini, le fotografie che mostrano la disumanizzazione dell’uomo, le grandi tombe con le ossa accatastate che avrò modo di vedere da vicino nel Memoriale di Nyamata.

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Erano già le 12.30 quando ho lasciato Kigali e mi sono diretto al Memoriale di Nyamata a 25 km sulla strada di Butare. Una vecchia chiesa non molto grande dove sono state uccise 10.000 persone. La gente vi si era rifugiata pensando che almeno quel luogo sacro sarebbe stato rispettato ma nulla può fermare l’uomo quando questi diventa un felino predatore. Il sistema di attacco era sempre il solito: le granate, la rottura delle porte o dei grandi fori nelle pareti, l’uso dei fucili e delle armi bianche, la carneficina! L’altare porta ancora la tovaglia macchiata dalle tracce di sangue degli uccisi che con l’usura degli anni ha però quasi cambiato di colore. All’interno della chiesa centinaia di panche con accatastate migliaia di abiti raccolti da quei poveretti trucidati e ora consunti, sgualciti, ingialliti e imbruniti, sporchi della polvere che vi si è accumulata durante 19 anni. Tutte le panche sono convergenti verso l’altare. Il tabernacolo è stato profanato e squarciato. La spalla sinistra della statua della Vergine Maria è stata visibilmente colpita, pensavano gli interhamwe (gli estremisti hutu) che anche la Vergine Maria fosse una tutsi! Delirio nel delirio! Fori nelle pareti e nelle lamiere del tetto!

Siamo scesi per una scala, dove sono visibili i veli di colore viola e con la croce bianca distesi sulle bare che contengono i resti delle vittime. Allineati i teschi di diverse centinaia di vittime e deposti come in una serie di vetrine della morte. Crani sfondati, forati, tagliati a seconda del modo atroce di essere uccisi. I crani degli uomini si confondono con quelli delle donne, quelli dei “vecchi” con quelli dei “giovani”. Sopra e sotto quella “bacheca dell’orrore”, migliaia di ossa umane messe in ordine a perenne ricordo dell’eccidio di Nyamata!

All’esterno della chiesa, ancora le grandi tombe con i resti delle vittime. Una tomba particolare ricoperta da bianche pietre levigate, una croce e una dicitura in verde attirarono la mia attenzione. Mi sono avvicinato: ho letto TONIA LOCATELLI di Corna Imagna, religiosa missionaria nella congregazione svizzera delle suore ospedaliere di Santa Marta. Ho capito che veniva dalle nostre parti.

Volontaria laica, si era opposta alla violenza etnica contro i tutsi. Quando la persecuzione e i massacri contro i tutsi cominciarono sistematicamente negli anni 1990-91 a Gisenyi (posto di frontiera con Goma-Congo), Ruhengeri e altre località e anticiparono la bufera di sangue del 1994, Tonia non ha fatto le valigie ma è rimasta malgrado l’insicurezza generale e ha continuato a fornire il cibo e un tetto ai fuggiaschi tutsi che si rifugiavano da lei: ne ha salvati 300. Ha denunciato a livello mondiale i conflitti etnici in Rwanda tramite la radio RFI e la BBC ma la sua azione non fu ignorata dal regime del presidente hutu Habyalimana (perirà nel crash dell’aereo il 6 aprile del 1994). La notte del 9 marzo 1992, Tonia fu chiamata all’esterno della propria casa verso le 21.30 e uccisa freddamente davanti alla propria abitazione da un sicario delle Forze Amate Rwandesi (Far, hutu, prima che subentrasse il nuovo regime di Kagame il 19 luglio del 1994). Solidale con gli oppressi fino alla morte, martire coraggiosa che si è opposta alla violenza cieca degli interhamwe, testimone in quell’ora oscura dell’Amore senza ritorno, scintilla della Luce in quelle Tenebre calate sulle mille colline del Rwanda! Poco prima di morire, Tonia aveva dichiarato a una radio internazionale: “Bisogna salvare questa gente, bisogna proteggere questi perseguitati! Il regime li sta massacrando!”. Ho fatto un tempo di silenzio e di raccoglimento, ricordando il chicco di grano che cade in terra e muore per dare molto frutto e pensando ai sacerdoti e alle religiose missionarie della nostra diocesi che hanno versato il loro sangue in Africa. Tra queste, le sei Poverelle di Bergamo a Kikwit in Congo nel 1995, martiri della carità quando scoppiò l’epidemia dell’ebola.

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Al ritorno, sono andato all’Hôtel delle Mille Colline, un hôtel celebre a livello mondiale e ormai diventato “monumento storico” per via del libro e del film “Hôtel Rwanda” che ne racconta la vicenda: il salvataggio di più di mille tutsi che vi si erano rifugiati all’interno grazie al coraggio del direttore tutsi dell’Hôtel. Questi con l’aiuto dei pochi soldati della MINUAR (Missione delle Nazioni Unite per l’Assistenza al Rwanda o soldati dell’ONU) restati ancora a Kigali riuscì a impedire l’accesso agli interhamwe all’Hôtel. Mi è stato detto che gli interhamwe massacravano le famiglie tutsi che risiedevano solo a piano terra e non osavano salire ai piani superiori a causa di una “paura magica”, non sapendo che cosa trovassero ai piani superiori. Quel direttore ora vive in Belgio, salvò una gran folla di tutsi: ebbe un gran bel coraggio a tenere testa agli interhamwe e alle FAR (Forze Armate Rwandesi, hutu e pro-governative nel 1994 al momento del massacro)!

Infine, la visita al Memoriale nel centro spirituale Christus dei gesuiti. Dietro l’altare della chiesa, si erano nascoste nove signorine tutsi e un uomo con tre sacerdoti tutsi che volevano sfuggire al massacro il 7 aprile 1994. Il Memoriale è un piccolo mausoleo a forma di cappella e collocato nel giardino: una grande lapide bianca interna con iscritti i nomi dei 3 padri gesuiti, i 4 abbés diocesani, e i 10 laici, l’uomo e le 9 giovani donne. I tre gesuiti furono strappati dai loro uffici, gli altri tolti dal loro “nascondiglio” in chiesa e spinti nella sala 28 riservata agli ospiti. Là dentro furono tutti massacrati nel solito modo bestiale e cruento con le armi bianche! Un’efferatezza inenarrabile! Un mare di sangue! I lupi contro gli agnelli! I serpenti contro le colombe! Gli interhamwe tagliarono le braccia e i piedi perfino al Crocefisso affermando che fosse un tutsi! Bestemmia nelle bestemmie! Gli mozzarono anche una parte del naso e lo trafissero dall’alto in basso: quel crocefisso è l’icona vivente del genocidio di un milione di uomini, donne, anziani, bambini, neonati, senza colpa alcuna! In quei tre mesi del 1994, Cristo è morto mutilato e trafitto un milione di volte!

Mi sentivo profondamente turbato in quel momento, vedevo i volti di quelle 17 persone nelle fotografie appese ai muri! Come tutto questo fu possibile? Da parte di cristiani contro altri cristiani? Ho scritto in italiano nel libro delle visite: “Chiedo a voi martiri innocenti e senza protezione alcuna d’intercedere con Maria per questo nostro mondo desolato perché trovi la pace e la speranza!”. Mi avviavo all’uscita. Non avevo altre parole da dire. Lo sgomento, la desolazione, lo sconforto, l’amarezza, le lacrime nascoste, tutto si accavallava nella mia mente come una fitta ragnatela, avevo l’impressione che la brace della speranza si stesse spegnendo rapidamente dentro me. Il mondo e la vita mi sembravano avvolti da una notte cupa! Perché?

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