Sobrietà, che sfida

Consumare o no? Essere sobri o no? La questione è complessa e cambia aspetto a seconda della prospettiva che si sceglie: economica, etica, sociale, politica. Di certo la crisi in atto può diventare l’occasione per fare  scelte più consapevoli, libere da condizionamenti sociali e bisogni indotti dall’esterno. Francesco Gesualdi, coordinatore del Centro nuovo modello di sviluppo di Pisa, saggista, in gioventù allievo di don Milani alla Scuola di Barbiana, rilancia l’allarme sulla povertà crescente nel nostro Paese e invita al coraggio di scelte che pongano al centro i più deboli. Gesualdi ha, tra l’altro, appena scritto «Le catene del debito. E come possiamo spezzarle», edito da Feltrinelli.

Che Italia sta emergendo dalla crisi?

«Dal punto di vista sociale emerge un Paese con un numero crescente di emarginati, almeno dal lavoro: i disoccupati in Italia sono, ormai, sei milioni considerando anche coloro che il lavoro non lo cercano più. Con punte drammatiche tra i giovani».

È un Paese più povero?

«Sì. Abbiamo una fascia di popolazione che sta cominciando a conoscere anche la miseria, l’insicurezza, la precarietà. I poveri assoluti sono cinque milioni; a questi vanno aggiunti altri cinque milioni, i poveri relativi, che hanno un livello di consumo che sta al di sotto del cinquanta per cento della media nazionale; e poi ci sono altri dieci milioni di persone che sono a rischio costante di piombare nella miseria a causa dei redditi bassi e della precarietà del lavoro. Nel complesso abbiamo una persona su tre che è già caduta nella povertà o che rischia di caderci».

Tutto questo come sta modificando i comportamenti delle persone?

«Al momento si sta affrontando la sofferenza sociale sempre con l’ottica mercantilista e individualista; e questo sta scatenando i peggiori istinti: ci sono le forze populiste che addossano la colpa agli immigrati, a chi ci vuole togliere il lavoro e la sicurezza sociale. Sino ad oggi non è ancora stato fatto lo scatto necessario per prendere coscienza del fatto che c’è un problema comune e che occorre organizzarsi per affrontarlo in un’ottica di solidarietà».

C’è il rischio che questa crisi sia un’occasione mancata per creare nuove sensibilità sociali e nuovi stili di vita?

«Sembra che i dati stiano dicendo proprio questo. I nuovi stili di comportamento diventano un elemento di crescita solo dove c’è consapevolezza. Se invece la crisi viene vissuta con frustrazione, allora c’è solo rabbia e il momento non viene colto come occasione per migliorare la nostra società, renderla più equa, umana, socializzante. Mi auguro ancora che questa situazione possa essere colta come un’opportunità».

Ma non è un’Italia diventata più sobria?

«Dobbiamo andare verso una maggiore sobrietà, che è la capacità di consentire a tutti di soddisfare i propri bisogni fondamentali utilizzando meno risorse: bisogna riconoscere quali sono i bisogni veri da quelli indotti. La sobrietà è, innanzitutto, un gesto di sovranità individuale con il quale ci riappropriamo della nostra capacità individuale. Non è uno scenario di sacrificio. Al contrario: io ridivento padrone di me stesso e decido cosa mi serve per vivere, libero dai condizionamenti della pubblicità. Il pianeta ci sta mandando segnali che, ormai, non ce la fa più. Occorre andare verso la sobrietà, ma senza perdere nessuno, garantendo a tutti la possibilità di condurre una vita dignitosa e avere un minimo occupazionale: bisogna ridurre produzione e consumi, ma garantendo a tutti la soddisfazione dei bisogni fondamentali e la piena inclusione lavorativa. Questa è grande sfida. La sovranità personale è sinonimo di felicità se vissuta con lo spirito giusto. Nel contempo occorre riorganizzare la società dando meno spazio al mercato, più spazio all’economia comunitaria, che è l’economia della solidarietà».

Possiamo farcela?

«Sì, nella misura in cui incominciamo a riprenderci la vita nella nostre mani. Oggi c’è una grande deficit di partecipazione: bisogna tornare a voler essere i protagonisti della nostra storia. Bisogna informarsi perché non ci può essere partecipazione senza informazione; poi serve chiarezza di obiettivi: ciò significa scegliere da che parte stare, se con i forti o con i deboli: nel mezzo non si può stare. E mi sembra che anche Papa Francesco stia dicendo questo, oltre ad avercelo insegnato Gesù Cristo. Con queste chiarezza bisogna, poi, affrontare i problemi della vita per cercare di costruire un mondo che stia sempre dalla parte dei sofferenti».

Quali gli obiettivi del Centro nuovo modello di sviluppo?

«Cerchiamo di dare indicazioni su come adoperarci per cambiare il mondo a partire dalla nostra quotidianità. Abbiamo capito che gli strumenti di partecipazione non sono solo quelli di voto, ma anche quelli che fanno riferimento, tra gli altri, al consumo e al risparmio. Proponiamo il consumo critico, cioè un modo nuovo di fare la spesa che non guardi solo alla convenienza del prezzo, ma che si interroghi sulla storia sociale ed ambientale del prodotto e sul comportamento delle imprese. Se vogliamo garantire equità a livello planetario dobbiamo cominciare anche a fare i conti con i limiti del pianeta».