Dal Bangladesh

Sono missionario del Pime ( Pontificio Istituto Missioni Estere) e sono arrivato in Bangladesh nell’agosto del 1991. Ho studiato per un anno la lingua bengalese poi sono stato destinato alla parrocchia di Bonpara, Distretto di Natore, al Nord del Bangladesh, come assistente. Un anno dopo nel 1993 sono diventato parroco, carica che ricopro tuttora , sempre qui nella parrocchia di Bonpara. Nel frattempo da questa parrocchia ne sono nate altre due; Muladuli e Bhobanipur. Probabilmente ancora una terza sorgerà nel prossimo futuro, appunto la parrocchia di Natore. Confrontandomi con i miei fratelli e sorelle bengalesi  sono riuscito a capire meglio quello che ho lasciato. È stata una dipartita dalla mia solitudine. Il Signore mi ha accompagnato per mano, a volte con spintoni, spesso con carezze e gentilezza, attraverso questa strada asiatica, misteriosa ed affascinante insieme.

Il Bangladesh è un paese con una popolazione esagerata (160 milioni in un fazzoletto di terra, piu` o meno una persona per metro quadrato). La maggioranza della  popolazione è senza terra e marginalizzata. Il sistema educativo insieme alla salute pubblica è molto lacunoso. La maggioranza della popolazione è bengalese di religione musulmana, poi una minoranza induista e una stretta minoranza cristiana, buddista e pagana. La religione è un fattore molto importante per questo qui viene usato come metro di misura. La maggioranza dei cristiani sono tribali convertiti dal paganesimo comunque sempre infarinato di induismo. I tribali sono concentrati nelle Diocesi di Dinajpur e Rajshahi. Tuttavia la parrocchia di Bonpara ha una maggioranza di cristiani bengalesi e questo torna utile come forza coinvolgente e trainante ad intraprendere un itinerario scolastico di studi superiori. Inoltre abbiamo una grande scuola elementare (circa 1000 bimbi) ed anche una media-superiore (High school, con altri 1,200 studenti). Ogni anno molti studenti che escono dalle nostre scuole devono trasferirsi in città lontane se vogliono continuare in scuole di livello appena decente. Importante anche la recente presenza del Seminario Minore Diocesano con quasi 60 seminaristi. In luogo abbiamo alcuni «College» ma con standard disastrosi. Questo è un momento molto delicato per questo Paese: ovunque regna il caos. Ci sono quotidianamente scioperi, il livello di conflitto sociale è molto alto, avanza anche il fanatismo religioso.

Buona parte del mio tempo lo passo in ufficio ad ascoltare la gente; a volte si forma una fila così lunga che sembra di essere dal dottore. Il prete qui ha anche una funzione sociale  molto importante, soprattutto per la comunità cristiana ma non solo. Già lo facevano i missionari sacerdoti predecessori. Tuttavia, il saper ascoltare la gente con pazienza, perseveranza e comprensione, al di là di quello che poi si riesce a fare, cosa pur importante, crea un clima di rispetto e stima. La fede ha bisogno di gesti concreti per solidificarsi. Ha bisogno di coerenza ed anche affetto. Se non ci vogliamo bene tutto sembra sospettoso e poco credibile. Ed ha bisogno di tempi lunghi; tutte le cose costruite in fretta cedono nelle fondamenta, così anche i rapporti.

All’inizio, per alcuni anni, tutta questa gente che veniva con tutti questi insormontabili problemi creava in me un senso di disagio e mi arrabbiavo spesso. Tanto che sono rimasto stupito di come abbia continuato a venire, eppure! Ora , vuoi per l’età, vuoi per l’esperienza, mi arrabbio molto meno e credo l’ascolto sia diventato reciproco.

L’anno scorso a Bonpara abbiamo inaugurato la nuova chiesa, dedicata alla Madonna di Lourdes. C’è anche una grossa statua dedicata alla Vergine, alta quasi 20 m. Tanta gente di religione anche non cristiana viene a pregare.

La comunità locale è aumentata  numericamente,  maturando insieme l’esigenza di avere un locale di  preghiera  più  ampio e degno del nome che porta. Avevo iniziato questa costruzione 8 anni fa. L’abbiamo  costruita mattone  per  mattone noi muratori, falegnami, elettricisti del luogo, fino al sospirato completamento. Posso dire di conoscerla dal primo buco nel terreno per la gettata del fondamento, fino all’ultima vite del pannello elettrico.

Qualcuno potrebbe pensare che era meglio spendere i soldi per aiutare i poveri. Questo sarebbe legittimo se la chiesa fosse solo un punto d’incontro. Tuttavia una bella chiesa è anche una casa per i poveri, un luogo per il nutrimento spirituale, una catechesi in mattoni. La chiesa è un faro ed una città posta sopra ad una collina. Evangelizza  esprimendo  la  bellezza,  permanenza,  e trascendenza della fede cristiana. Ancor più,la chiesa come costruzione è un’immagine del Corpo del Signore.  Portare a compimento questa opera è agire come la donna che unge il corpo del Signore con preziosi unguenti (Mc 14. 3-9) .

Alcuni giovani italiani e francesi che vengono in estate per mezzo del M.E.P. ed il P.I.M.E., quando sono qui si rilassano, riescono a vincere quella mentalità europea che andare in chiesa è roba per vecchiette. Vedo questi giovani contenti  di  stare in chiesa, in mezzo a gente sconosciuta, anche se non capiscono una parola di bengalese. Per vincere la mentalità che fa moda, occorre un carattere molto forte oppure un’esperienza che ci ha segnato.

Ci sono tanti pregiudizi sui Paesi asiatici, e uno di questi riguarda i matrimoni combinati, considerati un’ingiustizia e una violazione della libertà personale. Eppure i matrimoni alla Renzo e Lucia,  cioè i cosiddetti matrimoni di amore, sono proprio quelli più a rischio, e praticamente non durano. Non che durino molto neppure in Italia: ormai Renzo e Lucia non si amano più abbastanza per darsi dei vincoli stabili. Che tristezza!

Sono i matrimoni che sembrano violare la libertà, privata ed assoluta di scelta, cioè i matrimoni combinati, che invece a dispetto di tanti argomenti dei filosofi occidentali, durano a lungo, praticamente a vita.

In parrocchia abbiamo due corsi annuali di preparazione al matrimonio, uno in giugno e l’altro in ottobre . I ragazzi e ragazze hanno occasione di stare insieme, parlare di queste cose, magari sempre con un po’  di pudore ed imbarazzo, lo si nota dall’ espressioni dei volti, che a noi farebbe sorridere.

Oggigiorno, i giovani hanno anche tante altre occasioni per conoscersi, parlare: a scuola (una volta c’erano solo ragazzi), in parrocchia, nei villaggi. Scambiare occhiatine un po maliziose, oppure scriversi anche lettere, così però già fanno un passo avanti. Oggi poi dai telefonini non si salva nessuno (non c’è da mangiare ma non manca il cellulare).

Il matrimonio è una festa alla quale partecipa tutta la comunità, la famiglia ed il villaggio intero. Non è una cosa privata. Ovviamente quando la coppia è in crisi e chiede aiuto, tutti sono pronti ad aiutare. L’aiuto, se cercato, risulta spontaneo per chi della vita individuale non ne ha fatto un assoluto.

Insomma sto parlando di una libertà che va certo accompagnata dai diritti umani, in Bangladesh e nelle nazione asiatiche e medio-orientali in genere. Ormai le ragazze non possono più essere oggetto di pressioni repressive intollerabili. Comunque non è una libertà totale e selvaggia, incapace di sopportare alcun vincolo, anche quando può essere un valore forte di aiuto concreto.

Mi sembra che i giovani del Bangladesh ci dicano che non sono mai gli estremi a portare la felicità, bensì sapersi dare dei limiti entro valori che poi in pratica possono proteggerci ( la famiglia intesa in senso ampio, i genitori, i parenti, gli amici, la chiesa). Possibile che i Bengalesi abbiano qualcosa da insegnare agli Italiani? Siate voi stessi a dare risposta a questa domanda.

Per informazioni e per aiutare i missionari del Pime: www.pimemilano.com