«Come foglie spuntate su albero verdeggiante l’una cade e l’altra sboccia, così sono le generazioni di carne e sangue. Una muore e l’altra nasce». Le pareti del salone d’onore del Museo A. Bernareggi si popolano di volti, in una mostra aperta fino al 2 febbraio 2014, si gremiscono di disegni che trasudano storia, la storia antica che sembra essere richiamata da un primitivo passato, trascinata da Sergio Battarola con la matita sulla carta gialla, ingiallita dal tempo.
Adamo, Set, Enos, Kenan, Maalaleèl, Iared, Enoch, Matusalemme, Lamech, Noè, Sem, Cam, Iafet. I loro figli e le loro figlie, la stirpe umana generata da Dio. Uno dopo l’altro corrono i loro volti. Volti che sono specchi della singola unicità umana, riflessi di una continua relazione con il mondo, memoria di una storia passata.
Un susseguirsi di segni umani, che legano ogni volto al successivo, intessendo le trame della storia, creata dalle alterne vicende dell’umanità. Generazioni di uomini, il cui richiamo alla materialità della terra è ben visibile nel segno deciso e insistente dell’artista. Ogni volto è il racconto di una storia, segnata da ogni riga, incisa in ogni tratto, sottolineata in ogni ombra. Perché ogni uomo è quello che è. A metà tra luce e ombra. Non si tratta di figure angeliche che visitano la terra. Ma uomini, figli che nella loro libertà e singolarità continuano l’opera creatrice di Dio. Non tutte nella fedeltà e nell’obbedienza, ma spesso nel tradimento e nell’inimicizia, incapaci di conservare l’alleanza con Dio. E così Battarola ci mostra donne dalla materna dolcezza accanto a donne dalla sensualità ammiccante, donne semplici e timide accanto a donne austere e forti. Uomini stanchi e dal volto segnato accanto a ragazzi giovani e freschi, uomini la cui astuzia traspare dagli occhi e uomini nei cui occhi leggiamo solo vuoto. Tratti antropici severi e delicati, decisi e impacciati, limpidi e nascosti, tratti di volti alle cui voci era affidato il compito di conservare la memoria, di fare domande e trovare risposte, in un flusso generatore che parte da Dio e che a Dio ritorna, con un Figlio che vuole essere generato da una figlia, vuole farsi carne e sangue.
Un flusso vitale che non lascia escluso nessuno, nessuno indifferente. Neanche lo stesso Battarola, che un padre l’ha cercato per molto tempo, nella sua furiosa ricerca artistica, fino a trovarlo in Giovanni Testori, che lo ha accolto come ultimo figlio. Un rapporto intenso raccontato nel film, che accompagna la mostra, del giovane regista Francesco Gatti e che ricostruisce, a vent’anni di distanza, radici, stimoli e dipendenze di quell’incontro. Testori che per primo ha mostrato alle scene questo figlio adottivo. «Di tal natura, e atroce necessità, ragione, dolcezza, rabbia, litania e bestemmia, è il segno grafico di Battarola. Di questo esso è composto e di nessunissimo, evitante “altro” o “altrove”. Una maestà da longobardico gioiello pei cimiteri degli illegali, degli irriconosciuti, dei forzati, dei diseredati, dei non nominati, degli impiccati. Una maestà che domanda, che, anzi, esige, dinanzi al suo proporsi il più assoluto silenzio. Una maestà che vanifica ogni commento», così scriveva dell’artista-figlio, che accanto gli è rimasto sino agli ultimi istanti della vita.
«Una generazione va, una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa».