Storie tunisine

È una delicata storia d’amore, quella raccontata dallo scrittore di origine tunisina Habib Selmi ne «Gli odori di Marie Claire» (Edizioni Mesogea, 215 pp, titolo originale «Rawai’h Marie Claire»), primo romanzo dello scrittore tradotto dall’arabo in italiano da Elisabetta Bartuli e Marco Soave. Selmi è uno dei pochi scrittori arabi che pur essendosi trasferito da anni in Europa continua a scrivere in arabo ed è inoltre l’unico romanziere tunisino tradotto dall’arabo in italiano, dopo lo scrittore ‘Ali al-Du’aji con «In giro per i caffè del Mediterraneo», scritto nel 1935 e tradotto in italiano da I. Camera d’Afflitto (Abramo edizioni, 1995).

Nato nel 1951 ad Al-‘Ala, nei pressi di Kairouan (Tunisia) e trasferitosi a Parigi nel 1983, Selmi è autore di otto romanzi e due raccolte di racconti. Molte delle sue opere sono state tradotte in francese, tedesco, inglese e norvegese e per due volte è stato finalista del prestigioso «Booker prize» arabo. Il romanzo parla della relazione tra il tunisino Mahfudh, emigrato in Francia, dove lavora come docente universitario a contratto e portiere d’albergo e Marie Claire, impiegata in un ufficio postale. Non si tratta solo del racconto di una «coppia mista», dello «scontro tra culture», anche se c’è anche questo nel romanzo, ma di un amore universale, in cui ognuno può rispecchiarsi, senza porre troppo l’accento sulle differenze culturali. La voce narrante è di Mahfudh, che già nelle prime pagine fa presagire che non ci sarà un lieto fine: «Me la vedo davanti, adesso, tutta assorbita dalle fette di pane tostato. Ci spalma sopra un leggero strato di burro e poi uno abbondante di marmellata di ciliegie oppure di albicocca, di ribes o di fragola. Inzuppa una fetta nel caffè bollente allungato con un po’ di latte e se la porta alle labbra, quelle sue labbra che non ho mai smesso di desiderare nemmeno per un giorno da quando l’ho incontrata fino a quando mi ha lasciato».

Si ritrova la quotidianità in cui ogni coppia può rispecchiarsi: dal primo incontro, alla riscoperta di sé grazie all’altro («Ma cosa vuoi che me ne importi della Tanzania?» le ho detto con una punta di stizza. “Sei o non sei africano?” mi ha chiesto lei, stupita. E io, per la prima volta in vita mia, mi sono reso conto che sì, sono africano»), le diverse abitudini, litigi, gelosia, i primi sintomi di distacco. È una storia «normale» ma non certo banale: i suoi punti di forza sono la semplicità, la delicata ironia, l’eleganza del linguaggio.