Slot machine

Tagli ai comuni che limitano le slot machine: un decreto-vergogna. Una modifica al cosiddetto decreto Salva Roma ieri ha scatenato in Senato una feroce polemica: è stato inserito un emendamento a firma Nuovo Centro Destra, con i voti di Ncd, Scelta Civica, Gal e Pd, contro hanno votato Lega, Cinque Stelle e Sel, che prevede il taglio dei trasferimenti economici ai comuni che cercano di limitare o sopprimere giochi come le slot machine. La norma penalizza i comuni impegnati su un fronte caldo: quello della lotta contro la lobby delle slot machine. L’emendamento propone che lo Stato decurti i trasferimenti ai Comuni e alle Regioni che hanno adottato dei regolamenti per limitare la diffusione di slot machine, videolotterie e simili, qualora queste disposizioni riducano il gettito erariale o generino contenziosi con gli operatori del settore. È stato definito dal nuovo segretario del Pd Matteo Renzi «una porcata» mentre il governatore della Lombardia, Roberto Maroni ha parlato di «vergogna» in una regione nella quale tra le misure introdotte si prevedono aggravi Irap ai gestori delle apparecchiature e l’imposizione di una distanza di 500 metri tra i nuovi locali con slot e luoghi «sensibili», come scuole, centri sanitari e oratori. Tutto questo avviene in un Paese come il nostro nel quale il problema della ludopatia è sempre più diffusa generando elevati costi sociali e sanitari.

«È un eccesso tutto italiano. Il gioco d’azzardo è certamente praticato anche negli altri paesi europei, ma non con le proporzioni che ci sono da noi. In Germania, per esempio, ci si impiega un quarto del denaro che si gioca in Italia, e la popolazione tedesca è oltre 23 milioni più numerosa della nostra…». Maurizio Fiasco, docente di sociologia, tra l’altro, nelle scuole di polizia e consulente della Consulta nazionale antiusura mette in evidenza il quadro socioeconomico del fenomeno legato al gioco d’azzardo. Crisi economica, povertà e gioco d’azzardo compongono una realtà interdipendente, poiché «vi è un nesso preciso con le fragilità provocate dalla crisi economica, che incentiva vaste operazioni di sfruttamento per reclutare al gioco d’azzardo. Si attraggono così persone che non avrebbero mai assunto un comportamento di consumo. È diventato un fenomeno pervasivo».

Precisa il sociologo: «La crisi economica abbassa le difese immunitarie personali e sociali, e sicuramente stimola la depressione. Su questa condizione s’innesta un marketing che propone il gioco come scorciatoia, alternativa per uscire da uno stato di disagio. Ora non si gioca più per vincere ma per continuare, per cercare uno stordimento, un allontanamento da una quotidianità difficile». Sembra inverosimile, ma il gioco è un processo circolare: «si cerca di ricavarvi denaro per riversarlo ancora nella macchina dell’azzardo. Si permane come in uno stato di apnea, di stordimento. Il gioco a soldi è come un sedativo di massa. Si interrompe però con bruschi risvegli, quando si raggiunge un peggioramento estremo delle condizioni di vita relazionale e materiale». Se è vero che più si allarga l’offerta, più aumentano i giocatori che diventano presto patologici. Ecco in breve i dati: Le famiglie che giocano sono circa 15 milioni e in media hanno speso 2.365 euro nel 2006, 2.650 nel 2007 e 9.800 nel 2011. Nel 2012 è stata raggiunta la stratosferica cifra complessiva di circa 90 miliardi di euro. «Nessuno si rende conto non solo del denaro, ma anche del tempo perso. I premi vinti sono premi frazionati in entità monetarie minime che rientrano successivamente nella macchina del gioco. Che cosa fa generalmente una persona che vince 5, 10, 50 euro al Gratta e Vinci? Con un riflesso automatico compra altri gratta e vinci… E allora constatiamo l’attivarsi del meccanismo tipico che genera la dipendenza, incidendo sull’apparato neurologico con il “condizionamento operante”: la gratificazione, cioè la vincita è irrisoria, ma molto frequente. Ricompensa e frustrazione sono intermittenti, impegnano un tempo di gioco molto lungo. Ore e ore trascorse davanti a una slot machine o al casino on line che attiva, di conseguenza, l’addiction».

Se si giocasse solo una volta ogni tanto, aspettandosi un premio importante, per un tempo limitato, questo fenomeno sarebbe molto contenuto: «Certo – continua il sociologo – sussisterebbe un’élite di gamblers – vale a dire giocatori compulsivi ed eccessivi – ma non coinvolgerebbe una popolazione sterminata. Quel che si sta verificando in Italia invece è la progressiva estensione della popolazione che gioca eccessivamente e in condizioni di patologia. I dati quantitativi lo spiegano. Dietro quel valore monetario del consumo (circa 90 miliardi di euro) c’è il valore del tempo impiegato per spendere quei denari. E c’è il costo della dipendenza da azzardo». Sconcertano i dati nazionali. Gioca per denaro la metà della popolazione, dice il professor Fiasco. «Questa somma così importante la dobbiamo attribuire quasi tutta a una metà dei nostri connazionali. Poi occorre distinguere i giocatori tra abitudinari, eccessivi e patologici». Quella che con un bizzarro neologismo è stata denominata “ludopatia” (ma la letteratura scientifica usa termine “gioco d’azzardo patologico”) è l’incapacità di resistere all’impulso dell’azzardo, scommettendo e ritentando, restando sordi a ogni avvertimento circa inevitabili gravi conseguenze. Non si può fare un profilo specifico della vittima, perché l’arruolamento al gioco d’azzardo ha esteso il mercato a fasce della popolazione che prima erano debolmente toccate o non coinvolte. Ad esempio, la popolazione femminile italiana fino a dieci anni fa giocava pochissimo. Adesso non vi è differenza di genere apprezzabile. La donna gioca quanto l’uomo «Le pari opportunità si sono riconosciute nel campo dell’azzardo. Il reclutamento ha riguardato massicciamente anche gli anziani, per mezzo di prodotti alla loro portata, con una pubblicità fatta su misura ecc…». Fiasco ci ricorda inoltre che «il gioco d’azzardo, legato al caso, alla fortuna è spesso presentato dalla pubblicità come un gioco di abilità. Generando una grande forza attrattiva sui giovani che amano la sfida. Si è costruito un equivoco: il gioco e l’azzardo sono diventati un’unica cosa, invece sono due entità molto diverse».

Ma qual è l’impatto sulla famiglia di un giocatore incallito? «Si deve constatare – sottolinea Fiasco – che ad accorgersi della patologia non è il giocatore, ma gli altri membri della famiglia, perché essa ne riceve la maggiore sofferenza. Si crea un disagio economico e psicologico. I rapporti tra le mura domestiche si banalizzano e ai bambini viene sottratta l’infanzia: sono spinti a crescere precocemente. Le relazioni familiari peggiorano».

Tanti ormai arrivano alla perdita dell’abitazione, all’insolvenza, a debiti di notevoli proporzioni. Cosa si può fare per aiutare le persone a uscirne?«Con l’impegno sempre più numeroso – osserva Fiasco – da parte di più persone colte, di buona volontà, di figure che hanno un ruolo educativo e che conoscano i termini essenziali di questo problema. Perché questo disastro è stato reso possibile dalla mancanza di una critica attiva. La prima condizione è quindi estendere la consapevolezza del problema. Si deve offrire assistenza, solidarietà, riparazione dei debiti delle famiglie. Il gioco d’azzardo non si cura ambulatorialmente».

Non è necessaria una nuova legge (salvo che per aspetti di contorno) perché «il nostro codice penale considera reato il gioco d’azzardo, però questi giochi vengono classificati come giochi di abilità. Applichiamo dunque il divieto». Si crea un circolo vizioso di indebitamento e usura intorno al gioco: «Sono reciprocamente causa ed effetto – conclude Fiasco -. Il gioco aumenta l’area dell’indebitamento familiare; quest’ultimo crea una forte domanda sul mercato di prestiti al di fuori dei canali legali. L’usura si diffonde capillarmente e quindi è la forma estrema d’indebitamento. Nelle città tale forma di usura soft, a bassa intensità, è molto diffusa».