La città brucia

La città, Troia, brucia. L’eroe sconfitto, Enea, fugge reggendo sulle spalle il vecchio padre Anchise e conducendo per mano il figlioletto Ascanio. La scena è stata più volte commentata da un grande poeta contemporaneo, Giorgio Caproni, che l’ha magistralmente applicata alla situazione dell’uomo moderno. «Vidi in Enea, afferma Caproni, non la solita figura virgiliana, ma proprio la condizione dell’uomo contemporaneo della mia generazione, solo nella guerra, con sulle spalle un passato che crolla da tutte le parti e che lui deve sostenere, e che per la mano ha un avvenire che ancora non si regge sulle gambe».

Sta finendo un altro anno, pieno di problemi, e ne inizia un altro, pieno di ansie. L’immagine mitica che Caproni applicava alla sua generazione, diventa attuale anche oggi, quando il passato non consola più e il futuro non incoraggia ancora. Siamo condannati al presente. Quello che i sociologi ci ripetono continuamente – l’uomo postmoderno manca di memorie e di prospettive – ci appare, nel volgere del vecchio anno e nell’inizio del nuovo, come un peso, un fardello insostenibile da portare. Nei periodi più conservatori, il passato confortava, mentre nei periodi più creativi il futuro dava energie. Oggi diamo l’impressione di non avere né la consolazione di quello che è stato né la speranza di quello che sarà.

Siamo come Enea: la città brucia e non sappiamo ancora dove andare. L’augurio è che l’incendio di Troia finisca e che, su una zattera o su una nave, si possa incominciare ad andare da qualche parte per fondare da qualche parte, come Enea, una città nuova nella quale sia possibile vivere.