L’alfabeto dell’amore

Cara Madre

È notte, sono in cucina e le scrivo perché mi sento sola. Mio marito dorme, i miei figli, due, dormono anche loro. La villa dove abito é bella. Dicono. La mia famiglia é molto bella. Dicono. Viste da fuori, forse. Perché io, tutta questa bellezza, non la vedo? Mio marito lavora, lavora molto, non ho il coraggio di dirgli che lavora troppo perché sarebbe ingiusto, nei suoi confronti. Resta il fatto che non ricordo l’ultima volta che abbiamo parlato, insieme, davvero, lui e io. Lo stesso vale per i figli, ma i figli, si sa, hanno sempre tanto da studiare, e quando possono è meglio che escano con gli amici. A divertirsi. Io non rimprovero niente a nessuno, ma quando vado a Messa, la domenica, e vedo le altre famiglie, non so perché, ma mi viene di pensare che sono più felici della mia. Forse, se avessi pensato un po’ di più a me, in questi anni, mi sentirei meno sola. O forse no. Grazie, e scusi per la tristezza.

Giovanna55

Carissima, il Dio con noi ti dia pace!

Leggo il tuo scritto intriso di solitudine e tristezza. Ritrovo in esso il volto di tante donne segnato dalla tua stessa sofferenza. È notte mentre scrivi, ma è soprattutto notte nel tuo cuore, nella tua vita. Accade quando si ha il coraggio di fermarsi, di guardarsi dentro, di dare un nome a ciò che abita l’interiorità: non si vede altro che buio. Sono passaggi che occorre vivere e attraversare, ma che possono cambiare l’esistenza. Il buio non può far soccombere!

Occorre alzare lo sguardo, per cercare di vedere oltre e riconoscere nella fatica, nella delusione, la bontà e la salvezza che nella vita sono passate. È vedere il seme buono che la tua dedizione ha sparso con abbondanza nella terra della tua famiglia. Forse l’impegno per assicurare ai tuoi cari la qualità della vita, un futuro promettente, ha trascurato la relazione, la comunicazione, quella sinfonia degli affetti che danno calore e colore al vivere. Ma la bellezza rimane perché gli altri la vedono e te la descrivono.

Allora togli il velo dagli occhi del cuore e apriti alla speranza! Ciò che appartiene al passato consegnalo nelle mani del Signore e guarda al tuo “oggi” come a quella possibilità che hai per ricominciare. Trova tempo per favorire le piccole vie di dialogo e comunicazione con tuo marito e con i tuoi figli. Getta ponti, rompi i silenzi e apri varchi alla tua e vostra solitudine creando relazioni. Ravviva “l’alfabeto dell’amore” che tu hai dimenticato, perché la delusione e l’abitudine hanno preso il sopravvento. È fatto di parole e di gesti semplici e quotidiani che dicono la fedeltà, la dedizione “quell’essenziale che è invisibile agli occhi, e che si vede bene che con il cuore”! E questo dà felicità!

Ma soprattutto entra nel santuario del tuo cuore e trova in te stessa la sorgente della vita, la motivazione profonda del tuo vivere, del tuo amare e soffrire, del tuo essere donna, madre e sposa. Lì, sola con te stessa, nella verità di ciò che sei; lì, sola con il Dio che è l’origine e il fondamento del tuo amore e del tuo amare; lì per ritrovare quella “parola” altra che Dio pronuncia su te chiamandoti figlia amata e benedetta. E in questa solitudine abitata, in questa identità ritrovata, la luce può entrare e rischiarare il cammino, dare forza e coraggio per continuare il viaggio della vita con la famiglia che il Signore ti ha donato. “Camminando si apre il cammino”, non dimenticarlo. E sii felice!

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