C’è una “stanza del cuore” all’oratorio di Verdello, un posto che invita a ritrovare il contatto con se stessi: è la stanza della preghiera. Colori che rasserenano, un po’ di cuscini per terra, una chitarra, la luce morbida. Una stanza dalla quale irradia una forza particolare, un senso profondo di intimità, che fa sentire “a posto”, anche quando non c’è nessuno. L’idea di “imparare a stare bene insieme”, che don Efrem Lazzaroni, curato di Verdello, mette al primo posto tra i risultati del progetto “Stop & Go” è come una tensione sotterranea, che si sente dappertutto, nella qualità, nello stile, anche solo dell’ambiente. Come al bar, dove sono gli arredi e i colori a delimitare le zone e l’utilizzo: c’è il settore “nonni” con le televisioni e i tavoli di legno per la briscola, e quello dei ragazzi, coloratissimo, con uno scaffale per i giochi in scatola, gli striscioni e i disegni alle pareti. Separati, ma contigui, perché ognuno ha il suo posto, ma insieme si può (volendo, anche se a volte, certo, è difficile) stare bene. Si vede, si sente che è un oratorio “abitato”: d’estate, per il Cre, arrivano un migliaio di ragazzi. C’è la catechesi, ci sono gli scout, i gruppi di volontariato come quello delle indispensabili “mamme col grembiule”, la musica, lo sport, il teatro. Soprattutto ogni pomeriggio ci sono gli iscritti allo Spazio compiti, una cinquantina, molti dei quali stranieri e di religione non cristiana. “E’ uno spazio flessibile – sottolinea don Efrem – avviato dal Cif negli anni Novanta da maestre in pensione. Poi si è spostato in oratorio. Oggi viene gestito da maestre, volontari e giovani universitari che affiancano i bambini nei compiti cercando di motivarli e supportarli nello studio. Ma è anche uno spazio importante di aggregazione”: una palestra anche questa. Per riassumere “cosa è rimasto”, ovvero i semi gettati a Verdello dal progetto Stop & Go, prendiamo in prestito le immagini usate nel volume che raccoglie l’esperienza da Marco Ubbiali, pedagogista e formatore: una strada, non ancora ben definita, ma tracciata dai continui passaggi, una clessidra, simbolo del tempo che è servito per pensare, incontrarsi, conoscersi, costruire rapporti di fiducia, un paio di occhiali, perché è cambiato il modo di guardare la realtà, le persone, le situazioni, una mano che dà e una che riceve, perché tutte le relazioni sono a doppio senso (ognuno capace, ognuno vulnerabile, come dice Paul Ricoeur), e la rete, in tanti modi e in tanti sensi (la rete di circolazione delle informazioni, la rete che raccoglie i bisogni e le sollecitazioni del territorio), e infine tavolo che ha riunito tanti soggetti diversi.