Percorsi

C’è un luogo comune che dice che una cosa è “da oratorio” quando è fatta in qualche maniera, non è di qualità. Ma il progetto “Stop & Go” attuato a Verdello dimostra proprio il contrario, come sottolinea Luisella Traversi Guerra, presidente di Robur Solidale Onlus, partner del progetto: “Negli oratori – scrive nella prefazione del volume “Stop & Go” che raccoglie il racconto dell’esperienza – c’è un grande bisogno di sostegno educativo. In questo la nostra radice cristiana potrebbe avere una forte influenza positiva sullo sviluppo culturale nel mondo dell’intercultura, recuperando quella caduta che oggi in molti strati della società provoca disorientamento e inaridimento spirituale”.

L’introduzione di educatori professionisti in oratorio può essere inoltre una “spinta di rinnovamento e riqualificazione”.

L’effetto a caduta sui giovani che frequentano questi ambienti non può che essere positivo: “E‘ necessario creare uno spirito di rivalsa e di qualità, di stile e di livello, alzare l’asticella dell’impegno e di un riscatto dalla mediocrità che oggi rischia di essere un elemento sociale pericoloso”.

Studiata e attuata in team, strutturata e ora raccolta in un libro, quella di Verdello diventa non soltanto un’operazione di carattere educativo (già di per sé preziosa) e di risposta a un disagio, ma acquista anche un importante spessore culturale: è una traccia, indica uno stile, una pista di riflessione, che poi ognuno può seguire, rielaborare, reinterpretare a modo suo anche in realtà diverse: “Stop & Go – prosegue Luisella Guerra – ha potuto toccare con mano ciò che è attuabile e che il vortice positivo che si genera nell’ambito delle famiglie che partecipano all’oratorio può accelerare il processo interculturale, di cui oggi abbiamo una grandissima necessità, per non cadere in paure, divisioni e barriere culturali contrapposte”.

Perché “Stop & Go”? “Il titolo – spiega Giulio Caio, coordinatore del progetto, consulente di politiche giovanili – esprime un aspetto peculiare e basilare: la necessità di sapersi fermare  in contro-tendenza rispetto alle nostre frenetiche abitudini, alle scadenze che assillano, alle resistenze e pensare. Prima di dare inizio a un intervento educativo diventa invece decisivo sostare. Nella sosta si riallaccia un patto con il tempo, si comprende la relatività dei nostri sforzi, rinasce la gratitudine per quanto riceviamo sotto varie forme, ritroviamo l’origine e l’essenziale dello stare in relazione”. Questo progetto è partito quindi dall’ascolto (Stop) ancora prima che dall’idea di come riempire il tempo (go).

Nel volume ci sono ampi ma anche semplici e diretti interventi di riflessione sulle questioni più importanti emerse nel corso del lavoro (la formazione degli educatori, gli interventi necessari, il coinvolgimento dei genitori, la scuola, il territorio perché il compito di educare coinvolge tutta la comunità come sottolineano in uno dei saggi don Emanuele Poletti, direttore dell’Upee e don Efrem Lazzaroni). Non mancano le proposte: “Potrebbe essere interessante aprire cantieri di rinforzo per progetti educativi degli oratori e dei comuni” chiarisce per esempio Ivo Lizzola, docente di Pedagogia sociale e Pedagogia della marginalità all’Università di Bergamo. Appassionanti le storie degli educatori, dietro le quali si vedono i volti dei ragazzi, le difficoltà, i conflitti e le conquiste fatte un passo alla volta. Come si legge in uno dei testi delle canzoni rap scritte dai ragazzi: “Adesso vi farò vedere come non mi arrendo ad ogni ostacolo. Questi sono i sogni di una persona: vivere”.