Democrazia e legge elettorale

Siamo di nuovo alle prese con la legge elettorale. Su di essa si scatenano attese palingenetiche spesso poi tradite. L’uscita dallo scandalo del “porcellum” era in effetti un’autentica emergenza. C’è voluto però un intervento deciso e inedito della Corte costituzionale, dopo che i precedenti moniti della Corte stessa e le continue sollecitazioni del Presidente della Repubblica erano rimasti inascoltati. Il sistema partitico si è cioè dimostrato pervicacemente incapace di auto-riforma. L’attuale legge elettorale, scaturita dall’intervento demolitorio della Corte costituzionale, è comunque di gran lunga migliore della precedente. Si tratta di un sistema proporzionale corretto dalle sole clausole di sbarramento. Del vecchio “porcellum” sono spariti il premio di maggioranza e l’assenza di preferenza.

IL MONDO POLITICO IN AGITAZIONE

L’agitazione che, all’indomani della sentenza, si è diffusa nel sistema partitico e tra gli osservatori politici deriva dalla convinzione che, con l’attuale legge elettorale, ci troveremmo in una situazione di ingovernabilità garantita, con un Parlamento frammentato in numerosi partiti. Da un sistema elettorale ci si attende da molti l’opposto, tanto che è diventato un “mantra” quello per cui il giorno stesso delle elezioni si deve sapere chi governerà. Con queste premesse, l’obiettivo (quasi un’ossessione) della governabilità spinge a nuove forzature elettoralistiche, appena calmierate perché non si incaglino in pronunce di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale. Si finisce pertanto con il confondere la democrazia con la semplificazione del quadro politico e istituzionale. Sul piano istituzionale, tale semplificazione tende verso forme più o meno esplicite e avvertite di presidenzialismo. Sul piano partitico, si lavora a una riduzione bipolare grazie ai “trucchetti” della legge elettorale, pur in assenza evidente delle condizioni politico-programmatiche del bipolarismo.

COMPETIZIONE DI ÉLITES

Se l’obiettivo fosse davvero quello di trasformare la democrazia, secondo un’ispirazione schumpeteriana, in una competizione tra élites per il governo del Paese, la strada maestra sarebbe quella di adottare un sistema elettorale di tipo maggioritario, a turno secco (all’inglese) o doppio (alla francese). Per Schumpeter, la democrazia è essenzialmente selezione delle élites che competono tra loro per il voto popolare. Compito del sistema elettorale non è dunque quello di garantire un rispecchiamento fedele – dentro le istituzioni – delle diverse espressioni politiche, bensì di incoronare un’élite vincente. L’elezione è infatti interpretata come selezione e la regola maggioritaria mira proprio a “fabbricare” quella minoranza o quelle minoranze che governeranno la democrazia, secondo un ideale di meritocrazia elettiva. La legge elettorale dovrebbe pertanto essere congegnata per prefigurare, già nel momento delle votazioni, una maggioranza governante, senza dover attendere e ricercare estenuanti mediazioni.

Quali i limiti di praticabilità di questo ideale schumpeteriano di democrazia competitiva nel nostro Paese? Anzi tutto, l’assenza di una cultura delle garanzie costituzionali che impedisca alla minoranza vincente di voler cambiare da sola le regole del gioco. Non è affatto un limite da poco. A ciò si aggiunga l’immaturità del quadro partitico italiano, ben lontano dall’esprimere un bipolarismo maturo, soprattutto per l’assenza anomala di un centro-destra liberale.

COMPROMESSO TRA PARTI PLURALI

Si può individuare una visione alternativa di democrazia, che definiremo kelseniana, a cui corrisponde un sistema elettorale di tipo proporzionale. La democrazia è intesa essenzialmente come compromesso tra parti plurali. In questo caso, come auspicava il giurista Kelsen, dalle elezioni per il Parlamento non ci si attende la prefigurazione di una maggioranza di Governo, perché l’indirizzo politico si deve formare entro l’istituzione parlamentare, per mezzo delle mediazioni favorite dalle procedure di confronto tra i vari interessi rappresentati. L’elezione deve piuttosto mirare a garantire un’esatta rappresentazione delle proporzioni tra paese eleggente e organo elettivo. In questo modello di democrazia, il voto popolare non precostituisce la decisione, ma dà avvio alla democrazia rappresentativa: i rappresentati si parlano, discutono, negoziano, scambiano e possono, in questo modo, arrivare a decisioni a somma positiva.

Quali i limiti di praticabilità di questo ideale kelseniano nel nostro Paese? Anzi tutto, l’opacità dei partiti e la loro scarsa democraticità, che minacciano di sfigurare la mediazione, rendendola deteriore spartizione di potere. In secondo luogo, il sistema proporzionale non si limita spesso a rispecchiare un pluralismo realmente esistente, ma tende a produrne in sovrappiù, incentivando una frammentazione artificiosa. Per questo, può essere un correttivo accettabile una soglia di sbarramento.

IL TEMPO DELLE SCORCIATOIE È FINITO

In conclusione: il problema dello scarso rendimento politico delle nostre istituzioni democratiche non pare principalmente legato a una formula elettorale e ancor meno a difetti del disegno costituzionale. Il problema dipende piuttosto dal sistema dei partiti che mai si è dato una cornice di regole, di attuazione costituzionale, utile a un radicamento autenticamente democratico. L’attuale sistema partitico non è semplificabile secondo una logica bipolare: manca di consistenza, come si è detto, una destra liberale, di cultura europea; il PD, oltre a essere afflitto dal problema (comune a molti partiti) di una classe dirigente professionista della politica, avendo dall’altra parte un avversario anomalo, ha assorbito componenti troppo eterogenee che gli rendono assai difficile conseguire una qualche omogeneità. E poi – piaccia o no – c’è il Movimento 5 Stelle che non intende fare una semplice comparsata… Insomma: non è più tempo per “trucchetti” o scorciatoie. Servirebbe una seria e forte riforma dei partiti a cui dovremmo chiedere, sempre di più, sul piano programmatico e delle alleanze, un’apertura politica europea. Perché questo possa avvenire, l’indignazione dei cittadini deve accettare – aiutata dalle agenzie culturali, informative e formative – la sfida del discernimento critico, perché smetta di alimentare processi di semplificazione in cui, come la storia insegna, più agevolmente sguazzano i nemici della democrazia.

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