Rivoluzione gentile

Il rapporto dell’Onu? “E’ ideologico” sottolinea Enzo Romeo, caporedattore esteri del Tg2 e vaticanista, classe ’59, che da anni segue da vicino le vicende del Vaticano. E ancora: “l’elezione di Papa Bergoglio ha portato una rivoluzione nella Chiesa, e non solo a livello comunicativo”. Anche se lo scollamento tra gli insegnamenti della Chiesa, in particolare in alcuni Paesi del mondo, e la vita delle persone appare in alcune situazioni molto significativo, Papa Francesco “sta già riducendo questa distanza”. A un anno dalle dimissioni di Papa Ratzinger facciamo il punto.

Che tipo di segno è stato per la Chiesa l’elezione a Pontefice del cardinale Bergoglio quasi un anno fa?
«L’elezione di Bergoglio, non dobbiamo mai dimenticarlo, nasce da un gesto dirompente, unico nella storia della Chiesa, che è stato la scelta di Benedetto XVI di dimettersi. Probabilmente se si fosse andati a un conclave tradizionale non ci sarebbe stato questo risultato. La scelta di Bergoglio viene fuori da un’emergenza che si era creata nella Chiesa. Il triste spettacolo di Vatileaks, la pedofilia nella Chiesa, la questione delle finanze vaticane, la serie di scandali, i corvi, le carte rubate sulla scrivania del Papa, tutto questo dava l’idea di una Chiesa ormai alle corde, che doveva dare un segno forte di reazione. Per iniziare un cammino diverso. Lo stesso Benedetto XVI deve aver percepito tutto questo e ha considerato che non aveva più le forze fisiche e psicologiche per una sfida di questo tipo. In maniera coraggiosa Ratzinger ha deciso di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma. Sono saltati quindi tutti gli schemi e si è scelto l’unico cardinale che nel precedente conclave era stato indicato come una possibile alternativa a Ratzinger. Molti cardinali hanno voluto votare bergoglio, anche se sapevano che avrebbe subito messo a soqquadro l’organizzazione, soprattutto verticistica, della Chiesa. Era necessario iniziare una via di riforme e di ripensamento».

Com’è cambiata l’immagine della Chiesa con Papa Francesco?
«Da subito si è visto con quel “buonasera” che fu la prima parola di Francesco. Lo stesso nome che Bergoglio ha scelto indica umiltà, vicinanza agli ultimi, ai poveri. Lo si vede continuamente con questa partecipazione intensa, non soltanto numericamente, ma proprio emotivamente agli incontri con il Papa. La gente percepisce che c’è un Papa che prima di dare le direttive vuole essere uno tra gli altri, condividere quelle che sono le gioie e le speranze, le difficoltà e i problemi dell’uomo che era l’indicazione venuta dal Concilio Vaticano Secondo, il famoso incipit della Gaudium et spes, che deve essere un grande manifesto per la Chiesa di oggi».

È notizia recente che la Commissione Onu per i diritti dei minori ha denunciato le politiche della Santa Sede che ha permesso “gli abusi sui bambini”. Il delegato del Papa all’Onu Monsignor Silvano Tomasi ha replicato che “sono vecchie accuse, quel rapporto è ideologico”. Si è fatto una sua opinione su quello che è accaduto?
«Sicuramente il comitato Onu è andato oltre i propri compiti, del resto lo stesso Segretario di Stato Parolin ha detto che verrà preso in esame in maniera seria il rapporto Onu e si cercherà di applicare al meglio le indicazioni che vengono date. È notizia recente che un parroco di Como è stato ridotto allo stato laicale con una procedura rapidissima, perché si è macchiato di crimini di azioni di pedofilia. Il cambiamento di rotta c’è stato già con Benedetto XVI. L’Onu non ha tenuto conto di questo processo in corso che è evidente fermandosi, come ha detto qualcuno, a un livello di condanna ideologica».

Sono stati resi noti i risultati di un sondaggio mondiale condotto in 12 Paesi per Univision, la principale tv degli Usa in lingua spagnola, alla vigilia del Sinodo sulla famiglia che si svolgerà il prossimo ottobre in Vaticano. Dal sondaggio emerge che dalla contraccezione alle donne prete, i cattolici sono contrari a molte delle posizioni ufficiali della Chiesa. L’unica cosa che resiste è l’opposizione alle nozze gay mentre per il 99% dei fedeli italiani l’operato di Papa Francesco è considerato eccellente o buono. Cosa ne pensa?
«Per tanti anni nella Chiesa, intendo il popolo di Dio non soltanto Chiesa gerarchica, non c’è stata la possibilità di un confronto ampio e chiaro su questi e su altri temi. Anche i Sinodi che si sono succeduti durante il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II e di Ratzinger sono stati Sinodi un po’ pilotati dall’alto quindi con una discussione molto relativa. Nel momento in cui invece si viene chiamati a esprimere il proprio parere un po’ si resta storditi da questo. Sono convinto che dopo questa prima fase si tornerà a una riflessione un po’ più seria dove si affronteranno le cose nella giusta misura. Il Papa non è un notaio, c’è una riflessione ultima che tocca al Papa di fare la sintesi di tutto questo e di dare le indicazioni definitive. L’aver mandato i questionari in giro per il mondo nelle varie diocesi non vuol dire aver fatto un referendum, vuole dire soltanto aver sondato degli umori. Capire dove sta andando il mondo e la comunità dei fedeli».

Intervistato dal quotidiano Repubblica Hans Kung ha detto che la Chiesa è troppo lontana dai fedeli e che “Francesco ora deve cambiarla”. È d’accordo con la tesi del teologo svizzero?
«Sì, conosciamo le posizioni radicali di Kung, il radicalismo non è mai positivo da qualunque parte provenga. Se uno come Kung ha accusato per decenni la Chiesa di integralismo deve fare molta attenzione, perché anche lui dal suo punto di vista finisce per essere un integralista. Il Papa sta già facendo delle riforme, la riforma del Papa è la riforma dei gesti, le sue più grandi verità le sta dicendo, per esempio, nella quotidianità di Santa Marta con le sue omelie. Francesco è un Papa che con la sua gestualità, con le sue parole semplici quasi da parroco di campagna, sta di fatto già riformando la Chiesa. Naturalmente ancora aspettiamo di sapere tante cose, come sarà riorganizzato il governo della Chiesa in maniera più dettagliata, c’è stata una nomina importante, quella di Parolin a Segretario di Stato, una persona che sicuramente rompe rispetto alla linea precedente. Non è passato nemmeno un anno dall’elezione di Bergoglio e in un anno abbiamo visto un sacco di novità».

“Per me è stata come una coltellata, ho sentito un grande dolore”. Sono state queste le parole di Monsignor Georg Gaenswein ricordando quando apprese da Benedetto XVI la decisione di rinunciare al Pontificato. Che significato ha avuto nel mondo cattolico e non solo il gesto rivoluzionario di Ratzinger?
«All’inizio tutti siamo rimasti sconcertati. C’è stata anche qualche critica pesante, ricordiamo le parole del Cardinale di Cracovia Stanistaw Dziwisz che fece il confronto con Papa Wojtyla “Giovanni Paolo II pur malato non è mai sceso dalla croce”. A questo rispose quasi subito Benedetto XVI dicendo che lui non abbandonava la croce ma restava accanto alla croce in una maniera diversa, scegliendo di farlo nella preghiera, nel silenzio e nel nascondimento. Non era mai accaduto che un Papa rinunciasse al suo ministero petrino. Passato il momento di sconcerto si è capito che è stato il più grande gesto che ci si poteva attendere da un Papa. Un Papa a un certo punto si rende conto di non poter, di fronte alle emergenze di cui abbiamo parlato prima, essere pienamente capace di affrontare la sfida che lo attende e ha il coraggio di passare il testimone. È giusto che venga un altro al posto mio che ha più forze, più capacità e forse più entusiasmo di me. Questo ha fatto passare Benedetto XVI nella Storia ed io dicevo, parlando con qualche amico collega che tra 100 anni sui libri di storia, Benedetto XVI, che ha regnato soltanto per sette anni e mezzo con un profilo basso, da teologo, verrà ricordato più di Giovanni Paolo II. Quindi prima sconcerto per il gesto enorme di rinuncia di Ratzinger e poi comprensione per la grandezza di quel gesto».

Come è diventato giornalista e poi vaticanista?
«Sono nato a Siderno in provincia di Reggio Calabria e la parrocchia era a 50 metri da casa mia. Per me è sempre stata un punto di riferimento sotto tanti punti di vista. Era una sorta di casa con le porte sempre aperte. Ho avuto la fortuna di vivere gli anni cosiddetti post conciliari in cui si respirava quest’aria di novità e anche di libertà. Per la prima volta la fede non era più vista come un giogo ma era un’opportunità che veniva offerta a un ragazzo. Il mio parroco, don Achille, era molto aperto e disponibile con i giovani. Sono stati anni profondamente formativi come esperienza di vita nel modo di porsi come persona. Ho iniziato la mia attività giornalistica lavorando presso radio e tv locali. Ero iscritto ad Azione Cattolica, esperienza iniziata in parrocchia che mi è servita anche quando molto presto mi sono occupato di comunicazione. Ho avuto il privilegio di raccontare il pontificato di Giovanni Paolo II e i suoi viaggi apostolici che hanno fatto saltare le barriere tra oriente e occidente».

Quali sono le sfide principali più importanti per la Chiesa dal punto di vista della comunicazione oggi, ai tempi di internet?
«La Chiesa è un’istituzione che di per sé ha proprio come suo compito la comunicazione. La Chiesa nasce perché c’è una buona novella, una “good news” da trasmettere, quindi la Chiesa è comunicazione in quanto c’è un contenuto forte, un valore intrinseco che muove tutto. Tutto quello che fa la Chiesa, è una sfida comunicativa, lo stiamo vedendo ora con Papa Francesco. Dal dopoguerra c’è un problema però di scollamento tra la dottrina della Chiesa e la vita reale delle persone. Due cose che sono andate sempre più distanziandosi tra loro. Ciò che dice la Chiesa non è poi ciò che vive la gente. È diventato evidente all’interno della comunità dei fedeli. Basta chiacchierare con le persone che frequentano la parrocchia. Si tratta di ridurre questa distanza, mi pare che Bergoglio abbia fatto proprio questo. Nella sfida comunicativa c’è anche questa sfida ancora più urgente e delicata. Abbiamo un Sinodo sulla famiglia il prossimo ottobre che è stato voluto dal Papa proprio per questo motivo. La Chiesa deve riconoscere i segni dei tempi e capire il messaggio che è unico, non è mai cambiato e va proposto all’uomo del Terzo Millennio».