Senza stupore

«Al 64esimo Festival della Canzone Italiana di Sanremo manca lo stupore della novità, forse è questa la causa del crollo degli ascolti dell’edizione 2014». Il critico televisivo Mariano Sabatini non ha dubbi, alla rassegna festivaliera che oggi nella serata finale proclamerà il vincitore, manca «quella zampata nazional-popolare che dava un po’ di pepe, che faceva sì che ci si incattivisse sull’esecuzione, sul look». «Evidentemente – prosegue Sabatini – il gesto dei due disperati campani ha gettato come un’ombra su un Festival che si proponeva di mostrare la bellezza, forse perché non è questo il periodo adatto per parlare di bellezza». Romano, giornalista professionista fin dagli anni Novanta, Sabatini ha scritto di cultura e spettacoli su quotidiani, periodici e per il web (ha una rubrica su Tiscali Notizie e ha pubblicato nel 2012 per Lupetti, “È la tv, bellezza”), riguardo a Sanremo dichiara che «forse è arrivato il momento di voltare pagina, perché quest’anno la conduzione Fazio & Littizzetto non ha portato le novità che ci si aspettava». Insieme al critico televisivo, spesso ospite in varie trasmissioni Tv, abbiamo ragionato a tutto tondo su questo evento mediatico: «in positivo il Festival pervade, invade le vite di tutti».

Il Festival si è aperto con la frase del conduttore Fabio Fazio sull’Italia da riparare (… e il grande sipario si è inceppato) sull’onda della protesta dei due operai campani senza stipendio da sedici mesi in bilico sui tralicci. Mariano, qual è stata la tua prima impressione?
«È stata quella di un presagio di sventura: una scenografia che dopo tanti giorni di prove si blocca… La stessa scenografia mi ha ricordato, e non è un giudizio sul grande artista, gli spettacoli di Eduardo De Filippo. Non si addice un fondale come questo a Sanremo, perché evoca un’ambientazione antica. Non mi è piaciuta nemmeno la collocazione dell’orchestra. Per entrare all’Ariston ci vuole il pass per andare dappertutto, gli operai invece sono riusciti a entrare e a bloccare lo spettacolo».

Fazio ha insistito sul concetto di bellezza, perché «è la bellezza quel che serve al Paese. E che lo salverà»… Che cosa hai da dire in proposito?
«Se è sbagliato bloccare uno spettacolo in pieno svolgimento, altrettanto sbagliato è fare questi sermoni sulla bellezza che irritano. Un protagonista dello spettacolo come Fazio dovrebbe saperlo, non si deve parlare della bellezza, la bellezza si mette in scena, si fa percepire, si dovrebbe cogliere nel compimento dello spettacolo, è questo continuo rimando alla bellezza che è stucchevole».

Evidentemente il presentatore insieme agli autori desiderava creare una sorta di oasi di leggiadria e serenità all’interno del caos dei problemi quotidiani che affliggono il nostro Paese…
«Sì, ma comunque l’incidente avviene sempre. Al di fuori dell’Ariston accadono delle cose come la protesta di Grillo o l’ingresso dei disoccupati campani. Il disagio, il fastidio, la disperazione, il malcontento, a tratti, in qualche modo riverbera nel Festival. Perciò alla fine questo Canzoniere sulla bellezza diventa fastidioso. Nominerei meno la bellezza e mi metterei di più al servizio della bellezza. Più spazio all’arte e meno alle parole».

Fabio Fazio conduce per la terza volta il Festival. A parte le consuete polemiche sul compenso che percepisce il presentatore, in cosa si differenzia la sua conduzione dalle altre?
«Fin dalla sua prima conduzione nel 1999 Fazio ha rappresentato la rottura con lo schema classico, il cambio di pagina introducendo queste figure di presentatori inconsueti, strambi, vedi Renato Dulbecco, Luciano Pavarotti, ecc… Fazio ha contribuito a svecchiare il Festival, adesso si sta ripetendo anche lui, stiamo assistendo all’effetto déjà vu. La differenza rispetto alle precedenti conduzioni è che la sua è sempre una conduzione più “scapigliata”, più moderna, allegra, meno professionale. Fazio ha annullato la ritualità che faceva del Festival un po’ una “Messa cantata”».

Come definirebbe la comicità di Luciana Littizzetto?
«La definirei “genitale”, un po’ maniacale, sicuramente irriverente. Non è che non mi diverta, però ascoltandola due ore per cinque sere consecutive si rischia l’effetto ridondanza. Si ripete insistendo sulla stessa zona del corpo… C’è da dire a vantaggio della Littizzetto che offre un modello femminile diverso dal solito, in questo è apprezzabile».

Qual è il segreto del successo del Carrozzone Sanremo che dura da sessantaquattro anni e continua a essere la kermesse più seguita d’Italia?
«Il sociologo e antropologo francese Marcel Mauss ha teorizzato il “fatto sociale totale”. Non saprei dirti perché ma il Festival in questa “televisione liquida”, in questa tv che disperde le masse, rimane l’unico evento televisivo aggregante. Se la televisione riuscisse a fare, per esempio, con il Salone del Libro di Torino quello che fa con Sanremo, cioè promozione e grandi investimenti economici, magari si leggerebbe di più…».

Tracci per noi l’identikit dello spettatore tipo che non si perde una sola edizione del Festival?
«
Non credo che ci sia, perché bene o male, tutti lo vedono. Franca Valeri, donna di grande sensibilità e raffinatezza, la quale a 94 anni ancora scrive commedie, sere fa sul palco dell’Ariston ha asserito di aver seguito tutti i Festival di Sanremo. Ora, l’avrà detto per piaggeria, ma l’ha detto di fronte a milioni di telespettatori. Il Festival lo guardano tutti, dall’intellettuale alla persona comune, certo lo guardano con occhi diversi. Ci sono i famosi gruppi di ascolto anche di insospettabili, soprattutto per la serata finale. È appunto “un fatto sociale totale”».

In quale misura il Festival ha influenzato la società italiana e viceversa?
«Ci sono stati anni in cui questo è avvenuto meno. Negli anni Settanta il Festival era quasi scomparso perché c’era una diversa voglia di partecipazione nella storia sociale, c’era ancora l’eco del Sessantotto, quindi un rifiuto del Festival. Nel Terzo Millennio la gente è ripiegata su se stessa, ci rifugiamo negli affetti, nella famiglia, perché l’aspetto pubblico, il sociale sono deludenti, disperanti».

Facciamo il punto sulle canzoni: promossi e bocciati, fuori i nomi…
«Questo è il festival tipico del “secondo ascolto”, al primo ascolto verrebbe da dire le canzoni sono poco memorabili, al secondo ascolto invece mi sono piaciuti i Pertubazione, Raphael Gualazzi, Francesco Renga e la voce meravigliosa di Antonella Ruggiero. Ma se dovessi decidere io il vincitore farei vincere Renzo Rubino».

I testi: sono solo canzonette e basta?
«No, non lo sono mai. Non sono poesia, questo sì. Le canzoni sono un aspetto della cultura popolare. Rispecchiano la società, il tempo e il gusto che si vive. Ora le canzoni riflettono questo sentimento di intimità di cui tutti abbiamo bisogno. Forse è anche per questo che l’edizione 2014 di Sanremo presenta più testi sulla perdita dell’amore, sull’amore ritrovato. Gli autori riflettono i tempi, come il testo elegante di Grazie dei fiori cantato da Nilla Pizzi nella prima edizione festivaliera del 1951 rifletteva la cultura e l’eleganza formale di quel tempo. Se si legge il testo è un italiano stilisticamente alto, oggi ci sono testi più disinvolti».

Chi ti ha emozionato di più tra gli ospiti di quest’anno?
«Rufus Wainwright perché ha parlato del coraggio di vivere l’omosessualità in questi tempi non facili. Mi sono piaciuti la Carrà, Arbore, mi ha commosso la Valeri. Qui è la memoria che si impone, è il conforto della nostalgia, in un Festival della Canzone mi piacerebbe che si imponesse il nuovo. Non mi è piaciuto il momento “autogestito” di Baglioni che ha offerto il meglio di sé nella ripetizione dei suoi cavalli di battaglia, le canzoni nuove sono “fragiline”, poi c’è stata la marketta colla kappa del concerto… È facile così apparire grandi, fuori gara, senza mettersi in gioco».

«Sarà un Festival a costo zero», ha annunciato il direttore di Rai Uno Giancarlo Leone, sottolineando che i costi complessivi, circa 18 milioni di euro saranno coperti interamente dai ricavi pubblicitari. Però la macchina sanremese dal 2009 ha perso quasi 30 milioni di euro l’anno. Effetto crisi?
«No, è un effetto dell’incapacità della dirigenza Rai la quale come diceva Enzo Tortora “è un jumbo guidato da boy-scout”. Speriamo che abbia ragione Leone perché 30 milioni di euro è una cifra inconcepibile in questa stagione di privazioni e di austerity. Chi è responsabile della dilapidazione di tale cifra spero sia perseguito nelle aule dei tribunali».

I dati d’ascolto hanno rilevato che quest’anno non c’è stato il boom di telespettatori degli anni precedenti, anzi qualcuno ha parlato di crollo. «Disagio Italia incide» hanno puntualizzato Fabio & Luciana. Sarà vero?
«No, incide il fatto che la televisione sta profondamente e velocemente cambiando. Il Festival di Sanremo si difende, ma qui non parliamo più di tv monopolista o duopolista, stiamo parlando di tv pletorica. Il telecomando è una sorta di mongolfiera che ci trasporta in mondi diversi, dall’arte alla cultura (vedi le offerte Sky e Laeffe, la tv di Feltrinelli), ciascuno in piena libertà può costruirsi il proprio palinsesto per cui è comprensibile che un Moloch come Sanremo veda erodere telespettatori. L’avvento del digitale ha abbattuto le barriere televisive e le masse dei telespettatori si spostano con più agilità su altri canali».

Mariano, secondo te quale potrebbe essere la cura da cavallo che dovrebbe fare il Festival per innovarsi?
«Bisognerebbe concentrarsi di più sull’individuazione di nuovi talenti, di canzoni memorabili, non mi sembra che la gente si stia sgolando per cantare le canzoni di questa edizione. Quindi non uno sguardo su quanto di meglio è stato ma su quanto di meglio c’è. Così vorrebbe dire mettersi al servizio della bellezza.».

Col suo Prefestival Sanremo & Sanromolo il fenomeno Pif ha ringiovanito l’atmosfera?
«Pif è geniale, qui è un po’ ingessato dalla soggezione che il marchio Rai1, sotto si svolge Sanremo & Sanromolo, gli genera. Mi sembra bloccato, dovrebbe scatenarsi di più. Mi diverte molto, tra l’altro Pif mostra degli aspetti inediti del Festival. Sanremo & Sanromolo rappresenta l’elemento reality del Festival».

Festeggiando il 60° anniversario Rai, il Presidente Anna Maria Tarantola ha dichiarato che «l’azienda è diventata un punto di riferimento per gli italiani». Sei d’accordo?
«Non è diventata, lo è da 60 anni, ma non è un merito della Rai e nemmeno dei dirigenti. Io direi che le televisioni sono diventate un punto di riferimento per gli italiani. La Rai lo è stata fino all’avvento della tv di Berlusconi. La Rai ha contribuito a creare negli anni Cinquanta/Sessanta una cultura di massa, una cultura che tenesse insieme gli italiani e questo l’azienda l’ha fatto bene. Questo è avvenuto fino agli anni Ottanta. In quel periodo Luciano Rispoli riusciva ancora a far giocare milioni di persone con la lingua italiana a Parola mia, nel preserale di Rai1».

Il direttore artistico Mauro Pagani ha detto che «Sanremo non è il Festival della Canzone Italiana ma un varietà televisivo a caccia di ascolti». Chi vincerà stasera sul palco la musica o il varietà?
«Vincerà il varietà musicale. Sanremo è un varietà, l’ultimo varietà che la tv offre, perché il varietà non si produce più, perché non c’è più la bellezza, la cultura. Ecco perché appare velleitario l’appello continuo alla bellezza. Non è una televisione colta questa, ricordo i programmi di Arbore, le regie di Antonello Falqui. Ecco quelli erano programmi colti, non culturali».