Uomo in bilico

«Fecondazione eterologa. Cade il divieto». «I giudici bocciano la norma che proibiva il ricorso a un “donatore esterno” in caso d’infertilità assoluta: ‘Testo illegittimo”. La sentenza della Corte Costituzionale cancella il contestato divieto. E la associazioni esultano». Questi i titoli che alcuni siti esibivano appena si è avuta la notizia.

Non si registrano, per ora, reazioni significative di parte cattolica. Solo la Pontificia Accademia per la vita ha parlato di “sconcerto”.

Vorremmo non tanto entrare in merito ai motivi della sentenza. Gli organi di stampa offriranno in abbondanza ragioni e commenti da parte di esperti. Vorremmo soltanto spendere una parola su cosa può significare una sentenza del genere per il mondo cattolico.

Ragioniamo, anche in questa ottica, non in termini di alta dottrina morale, ma di semplice confronto con un sentire discretamente condiviso nella tradizione della Chiesa. La Chiesa lega strettamente la sessualità, alla coppia uomo-donna, alla procreazione, al matrimonio. La caratteristica della morale cattolica è proprio questo legame. Semmai nei tempi più vicini a noi, dentro la Chiesa, si è trovato un equilibrio migliore fra i diversi elementi di quella catena. In particolare la sessualità è un valore comunque e non solo in funzione dei figli da mettere al mondo.

La novità alla quale ci troviamo di fronte è che quella catena si è rotta o si sta rompendo: la sessualità non è più legata alla coppia uomo-donna perché esistono coppie omosessuali; la coppia uomo-donna non è più legata al matrimonio perché ci si sposa molto di meno. Adesso anche la procreazione non è più legata alla coppia, o per lo meno non è più legata esclusivamente a una coppia precisa: la coppia può ricorrere a donatori esterni di ovuli o spermatozoi, in caso di infertilità assoluta.

Vogliamo sperare che, attorno a questo evento, parlino non tanto i moralisti che avranno buoni motivi per criticare il pronunciamento della Consulta, o le associazioni che hanno lottato per arrivare a questa vittoria, le quali, ovviamente avranno molti motivi per esultare. Ma vorremmo che parlassero degli antropologi. Perché mi piacerebbe che si potessero porre delle domande che sono fondamentali al limite dell’ingenuità. Questa, per esempio: il cancellarsi di queste “articolazioni” su cui buona parte della nostra cultura si è costruita, che cosa significa? È in crisi la morale soltanto, o è in crisi l’uomo stesso? Ci stiamo chiedendo cosa fare o ci stiamo chiedendo chi siamo? Tanto più che eventi come il pronunciamento della Consulta sono celebrati come grandi fatti di civiltà. Questo potrebbe essere l’ultimo anello del dramma: non solo l’uomo stesso traballa, ma non se ne accorge neppure e il traballare è interpretato come una gioiosa danza di vittoria.