Adolescenti

Cara suor Chiara,

ho un figlio di quindici anni. E’ un bravo ragazzo, studia molto, va bene a scuola ma se ne sta sempre per conto suo e io non so più come fare per avvicinarlo. Da piccolo era così solare e chiacchierone, adesso non mi racconta più niente di sé. Mi preoccupa vedere che passa la maggior parte del tempo da solo, non ha passatempi o passioni come la musica o lo sport, non va più nemmeno all’oratorio, gioca soltanto ai videogiochi. Ho paura che la solitudine non gli faccia bene, e che si stia allontanando da tutto, anche da noi. Che cosa posso fare?

Cara lettrice,

il suo scritto esprime la preoccupazione di molti genitori nei confronti dei figli alla soglia dell’adolescenza e la difficoltà di una vicinanza e presenza spesso non comprese o rifiutate. Racconta la fatica di rimanere accanto a loro, intercettarne i bisogni, stimolarne il cammino con proposte o provocazioni. L’adolescenza è un età di passaggio e di trasformazione molto delicata.

Come genitori, forse, occorre imparare a riconoscere e abitare le proprie ansie, le attese nei confronti dei figli divenuti un po’ degli “sconosciuti”. Essi infatti, affermano la loro autonomia e distanza da tutto il mondo affettivo che li ha generati e cresciuti, ma hanno un bisogno estremo di modelli adulti a cui riferirsi. Occorre avere molta forza interiore per dare un nome all’impotenza che si vive, quasi una sorta di fallimento educativo che vi esclude dal loro mondo, e saper attraversare con pazienza, questi sentimenti, senza la pretesa di avere facili risposte o soluzioni.

Mantenere un clima affettivamente ricco, carico della vostra presenza costante nel tempo, di una cura che non viene meno e sta imparando un nuovo linguaggio comunicativo da rivolgere non più a un bambino, ma a un giovane, è un cammino impegnativo. Accogliere la trasformazione di un figlio non è immediato: non è più bambino ed esige di essere riconosciuto, di avere uno spazio suo di autonomia e libertà, senza sapere esattamente chi sia e cosa voglia veramente. Accettare i suoi silenzi, i rifiuti, chiede coraggio e tanta pazienza! Certo, è legittimo preoccuparsi della sua solitudine, ma occorre considerare anche i segnali positivi che vi mostra, quali un gesto, un impegno, il rendimento scolastico …

Rispettare questa fase della vita che vostro figlio vive, significa renderlo partecipe, verbalizzandoli, delle vostre fatiche, degli stati d’animo e dei sentimenti che vi preoccupano o vi fanno contenti. Non temete, non rinunciate alla vostra missione e vocazione di genitori! Continuate ad essere presenti, ad una giusta distanza, con la vostra parola e il vostro esempio, richiamandolo ai valori importanti, al significato del tempo, all’assunzione delle sue responsabilità di fronte alla vita, ai legami familiari che vive.

Confrontatevi, se già non l’avete fatto, con altri genitori, con gli insegnanti e gli educatori. Ma affidate questo vostro figlio al Signore: è figlio suo prima che vostro! Egli vi ispiri parole e gesti sapienti che lo sostengano in questo tratto di cammino, vi doni uno sguardo di speranza che vi permette di guardare al suo futuro non con timore, ma come promessa di vita che sta germinando e verrà alla luce.