Convivenze

Le convivenze di adolescenti e giovani all’oratorio o nelle comunità: è un’esperienza sempre più diffusa negli oratori bergamaschi. Vivere insieme, condividere la gestione delle incombenze quotidiane, dalla cucina alle pulizie, trovare spazi comuni di preghiera e riflessione e conciliare tutto con la vita di tutti i giorni: una prova non sempre facile che insegna a trovare un nuovo stile. E mostra nel concreto come può essere (bella, piena, ricca) la vita di una comunità cristiana. Nel nostro dossier di questa settimana ne parliamo con un’intervista a don Emanuele Poletti, direttore dell’Upee e raccontando alcune esperienze concrete.

Trovare momenti in cui coltivare la propria vita spirituale, condividendola con una comunità, non è semplice: la nostra è una società frammentata e complessa e ritagliarsi momenti di formazione personale è difficile, ma non impossibile. Lo dimostrano le settimane di convivenza, proposte in particolare ai giovani, mi spiega don Emanuele Poletti, direttore dell’Ufficio per la Pastorale dell’Età Evolutiva.

Pensata solo negli ultimi dieci anni, questa esperienza di aggregazione e formazione per giovani e adolescenti sta raccogliendo sempre più successo, diffondendosi a macchia d’olio nei diversi oratori di Bergamo. La Commissione Giovanile Diocesana ha condotto due ricerche al riguardo pubblicando dei testi nella collana “gli Sguardi di ODL”: la prima nel 2004 con il nome “Vita Comune”, l’altra nel 2013, in due volumi, il secondo dei quali uscirà a breve, con alcune testimonianze concrete di convivenza.

Don Emanuele, che nella sua attività pastorale come direttore di oratorio ha collezionato una certa esperienza con le settimane di convivenza, mi ha spiegato in cosa consistono e come mai sono così importanti.
“La ricetta è semplice – osserva don Emanuele -. Per una settimana un gruppo di giovani e adolescenti sceglie di vivere insieme in uno stesso luogo, che può essere l’oratorio della parrocchia oppure una casa sufficientemente grande, ma senza dimenticarsi le proprie normali attività quotidiane. I ragazzi infatti frequentano la scuola, l’università, vanno al lavoro, ma si trovano costretti a dover ricorrere ad una buona organizzazione: solo così possono vivere insieme, gomito a gomito, facendo esperienza di vita comune. Le settimane si svolgono in periodi normali, quindi non durante le vacanze o in momenti in cui si è più liberi. I momenti di condivisione possono essere diversi. La mattina, per esempio, ci si alza tutti allo stesso orario, magari mezz’ora prima del solito, recitando le Lodi; la sera, al termine della giornata, ci si riunisce per la Compieta; si può discutere insieme di un argomento, stabilendo delle serate speciali in cui si programmano degli incontri. Così lo straordinario si trasforma in ordinario”.

Le convivenze sono di tre tipi, studiate per essere proposte a diverse fasce d’età e con scopi differenti. La prima ha una dimensione più aggregativa e coinvolge gli adolescenti, i più piccoli. Don Emanuele ne ha vissuta una proprio a Natale, con tutti i ragazzi riuniti in oratorio, per viverlo veramente come una casa. La seconda convivenza invece è consigliata ai giovani e in questo caso è spesso legata ad una tematica particolare, chiedendo a loro, ormai grandi, non semplicemente di condividere lo stesso ambiente, ma anche di riflettere insieme, crescendo spiritualmente e personalmente.

Un terzo livello invece riserva la vita spirituale comune a periodi d’intensa attività eucaristica, come per esempio la Pasqua, riflettendo insieme nel triduo, dal Giovedì al Venerdì Santo.

Don Emanuele lo scorso maggio ha vissuto una convivenza formativa sul tema della fraternità cristiana. “Ho visto i ragazzi imparare cosa significhi vivere cercando di accettare l’altro in tutti i suoi aspetti. Non è facile: serve una buona dose di pazienza e s’impara ad essere propositivi, altrimenti tutto diventa un peso.”

I giovani che provano questa esperienza tornano a casa scoprendo qualcosa che può sembrare banale ma che in realtà non lo è, anzi, è importantissimo: vivere con un certo stile, lo stile cristiano, è possibile. E soprattutto scoprono che non è possibile viverlo da soli. “Ultimamente si considera la fede come qualcosa di privato che ognuno deve gestire da solo – precisa don Emanuele -. Sembrerebbe la condizione migliore, ma con la vita comune si scopre il contrario. Vivere una fede solo intimamente è impossibile, ci si distrae, manca un aspetto importante che è l’incoraggiamento, la condivisione. La dimensione comunitaria, invece, insegna come la fede debba essere vissuta con gli altri: è necessario trovare dei momenti in cui condividerla. I giovani capiscono in questo modo qual è il bisogno vero della comunità.”

Gli altri approfondimenti del dossier:

Kairòs, la convivenza dei giovani di Locate di Ponte San Pietro
I giovani agli esercizi spirituali con il vescovo
L’esperienza degli universitari della Fuci