Consigli pastorali

A proposito di Consigli pastorali, il parroco di Belsito me ne ha raccontata recentemente una davvero curiosa. Un giorno chiede ad un suo amico, parroco pure lui, come si trova con il suo Consiglio pastorale e questi gli risponde di non averlo nemmeno. Incredibile! E come la mettiamo con tutte le raccomandazioni dall’alto? Come è pensabile che si possa avviare e portare avanti la riforma della Chiesa ad alto come a basso livello? in particolare come è possibile il dialogo preti-laici, così richiesto anche per salvare dalla frustrazione i preti, i quali, come si sa, per la forza delle cose o per la loro mentalità accentratrice, non riescono più ad arrivare da nessuna parte?

«Senti! –  dice l’amico al parroco di Belsito – Non c’è alcun bisogno del Consiglio pastorale. Chi è intelligente la pensa già come me e chi non è intelligente non ha diritto ad uno spazio come un Consiglio per nuocere con le sue chiacchiere».

Ho chiesto al mio amico se mi stava raccontando una barzelletta e mi ha risposto dandomi nome e cognome del parroco in questione. Lo conosco anch’io e, per quello che lo conosco, la cosa con ogni probabilità corrisponde proprio al vero.

PARROCCHIA E POLITICA

Già che eravamo sul discorso, mi sono lasciato andare anch’io e ho confessato che, pur essendo convintissimo dell’utilità del Consiglio pastorale per le ragioni accennate sopra, anni fa, in una delle parrocchie dove sono stato parroco, ho sospeso anch’io il Consiglio pastorale. Ho avvertito il Vescovo Amadei e non l’ho più convocato. La ragione era semplice e, a mio parere, grave. Ogni volta che nella trattazione di qualsiasi tema si sfioravano anche solo lontanamente le problematiche di attualità, non era possibile affrontarle alla luce della fede, perché le persone si dividevano esattamente in base alla loro appartenenza politica e non c’era verso di smuoverle da lì. In seguito, trasferito in altra parrocchia, le cose mi sono andate un po’ meglio, ma il rischio è sempre lì che incombe. O ci si limita a discutere sul tragitto delle processioni e sul numero delle candele da mettere sull’altare il giorno della sagra, o sono guai, quando invece il compito del Consiglio pastorale, secondo il nostro Sinodo diocesano (n. 86) è proprio «l’impegno a edificare sempre di più una comunità secondo il Vangelo». Il grave è che, parlandone con gli amici, scoprivo spesso di non essere il solo in quella situazione.

Questo influsso dell’appartenenza politica di tanti cattolici nelle valutazioni di fatti ecclesiali la vedo anche in ambito più vasto. Basta leggere i giornali. È vero che tra noi cattolici il pluralismo politico è legittimo. Ma ci dovrebbe pur essere la maniera di rapportarci tra noi in modo che il “consensus fidei” si veda lampante e abbia un influsso efficace anche di testimonianza.

PAPA GIOVANNI

Si leggano sulla stampa o in facebook certi commenti di cattolici “egregi” alla canonizzazione di Giovanni XXIII. C’è da rimanerne sorpresi e addolorati. La santità del Papa non conta. Ritornano valutazioni di meschina bottega politica che venivano fatte più di cinquant’anni fa a piccole o grandi iniziative di Papa Roncalli, Prime fra tutte l’Eniclica Pacem in terris, che si diceva avesse sdoganato i comunisti, e specialmente l’indizione del Concilio, che avrebbe scoperchiato il vaso di Pandora scatenando tutti mali del mondo, con quella particolare impostazione non dogmatica ma pastorale, con grande apertura al mondo. Le ragioni? Di tipo grettamente politico.

Quando si discuteva tempo fa nel nostro settimanale sul prete e sulla Chiesa del futuro, mi domandavo, un po’ ironicamente, ma non senza ragione, che razza di dialogo e con quale speranza di risultato può esserci con interlocutori così disparati? La domanda vale sia per i dibattiti ad altissimo livello, sia in quelli a livello più domestico dei Consigli pastorali parrocchiali.

Attenzione, nonostante tutto, io resto convinto che la strada del dialogo è la sola che valga in una comunità come la Chiesa. A scanso di equivoci.