Emmaus, la scoperta

 Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo (Vedi il Vangelo di Luca 24, 13-35. Per leggere i testi della terza domenica domenica di Pasqua, clicca qui)

Il racconto dei due di Emmuas mantiene un fascino indescrivibile e intramontabile. Il lettore sa già tutto e si chiede come arriveranno a sapere anche Cleopa e il suo compagno. Il fascino del racconto viene anche da questa straordinaria sagacia narrativa di Luca.

IL FUGGI FUGGI E LA DIVISIONE

I due stanno fuggendo da Gerusalemme. Stranamente, perché Gerusalemme, la città santa, è luogo sul quale converge tutto il racconto di Luca. Ma la realtà è che i due, come tutti gli amici di Gesù, stanno sparpagliandosi, non hanno più il centro di riferimento, perché Gesù, il Maestro, è morto. Mentre i due stanno andando via dalla città santa, “discorrevano”: il termine potrebbe essere tradotto “litigavano”. La delusione e il malumore li dividono. Il ricordo di Gesù non arriva ancora a unirli. Gesù, intanto, li segue, si accompagna a loro; lui che non si ferma davanti a nulla e che può entrare nelle stanze sbarrate, può “entrare” anche nei cuori delusi e divisi di Cleopa e del suo amico. I due non lo riconoscono. Questo, però, permette a Gesù di lasciare che i due si esprimano. Raccontano, infatti, tutte le loro delusioni e le loro sconfitte. Ma sono come murati dentro quelle sconfitte non riescono ad andare oltre. Perfino l’annuncio delle donne che dicono di aver visto il sepolcro vuoto non li tocca. Infatti, non hanno ancora fatto l’esperienza viva del Vivente. Come Tommaso, il protagonista del vangelo di domenica scorsa.

In risposta alla loro tristezza e al loro accecamento, Gesù, per prima cosa, “spiega” il senso della sua morte. Quella morte, in effetti, non è un incidente assurdo. Rientra in un piano divino: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”, chiede Gesù ai due. Così il Risorto diventa il catechista per eccellenza perché è in lui che tutte le parole dette da Dio si realizzano ed è sempre in lui che anche la disperazione di Cleopa e del suo amico può avere una qualche spiegazione.

Arrivati a Emmaus, invitano Gesù, lo pregano di restare, vogliono la sua compagnia mentre “si fa sera”: fuori sta arrivando la notte, che sembra essere lo specchio del buio che abita il cuore e gli occhi di Cleopa e del suo amico. E Gesù restituisce abbondantemente la compagnia, non solo fermandosi e mangiando, ma spezzando il pane che, in Luca allude sempre all’eucarestia. I due anno ascoltato la Parola, hanno goduto la compagnia, hanno avuto il pane spezzato. Davvero Gesù non li ha abbandonati: lo riconoscono, infatti. Il risorto è in mezzo a loro.

Ma, nuova stranezza, proprio adesso che l’hanno riconosciuto, Gesù li lascia. Ma dovranno rassegnarsi alla loro solitudine oppure potranno ritrovare Gesù? E dove lo ritroveranno? Nella comunità – è la risposta – nella comunità dei fratelli, dove la compagnia, la parola, il pane spezzato continuano a essere scambiati. Lì i due tornano “senza indugio”. E lì i due raccontano che hanno visto il Signore e gli altri raccontano che anche loro hanno incontrato il Risorto. La comunità rinasce con lo scambio della “bella notizia”: il Signore è risorto.

GESÙ, LO SCONOSCIUTO

Il lettore, dunque, si chiede se i due riusciranno a riconoscerlo. È la domanda che attraversa tutto il racconto. E questo è anche il nostro problema: dove, come riconoscere Gesù? Bisogna notare che anche oggi, come allora, Gesù arriva a noi come uno sconosciuto. Nessuno si immagina che possa arrivare a noi da una croce, oppure dalle parole povere, talvolta sconnesse, di gente che lo annuncia. Gesù si fa conoscere a poco a poco, perché i due lo cercano, lo ascoltano, lo invitano. Poi, quando pensano di averlo perduto, s’accorgono che, da allora, non lo perderanno mai.

Noi, abbiamo quegli atteggiamenti di condiscendenza che hanno Cleopa e il suo amico? Qualche volta non lo cerchiamo e allora non lo potremo mai ascoltare e tanto meno invitare. Siamo gente soddisfatta. Oppure lo cerchiamo ma non lo ascoltiamo. Siamo troppo spesso preoccupati di ascoltare più le nostre parole che le sue. Oppure non lo invitiamo. Non abbiamo quegli atteggiamenti di fratellanza verso tutte le persone con cui viviamo che fanno l’humus dell’eucarestia. Il Risorto ci passa accanto ma corriamo il rischio di non aprire mai i nostri occhi sullo splendore della sua Pasqua.