Si avvicinano le elezioni. Si parla di Europa e di amministrazioni locali: gli estremi. Da una parte l’orizzonte più vasto per il quale ci è consentito votare: l’Europa; dall’altra l’orizzonte più limitato: il nostro comune.
GLI ESTREMI SI TOCCANO
Potremmo limitarci a dire che l’election day è stato inventato per non disperdere energie e soldi. Ma, anche se i motivi sono quelli, la coincidenza resta comunque significativa. Alcune decine di anni fa avremmo tranquillamente detto che il nostro comune locale e l’Europa erano sufficientemente lontani per ignorarsi reciprocamente. Al massimo avremmo potuto ricordare alcuni fragili legami fra i governi nazionali e le prime, timide strutture europee, ma non fra l’amministrazione locale e l’Europa. Oggi non più. Quasi tutti i comuni, anche piccoli, possono citare dei loro cittadini che se ne sono andati: in altri comuni italiani, spesso e, sempre più spesso, all’esterno. Nel comune nel quale ho abitato fino a tre anni fa, settemila abitanti, alcuni ragazzi erano partiti: per l’Inghilterra, per la Spagna, per la Nuova Zelanda, per l’Australia… Cito a memoria, ma diversi altri erano andati altrove. Dunque la globalizzazione, prima di essere economica e politica, è culturale: la gente da altrove viene qui e la gente di qui va altrove.
IL COMUNE “EUROPEO”, L’EUROPA “COMUNALE”
La prima considerazione che viene in mente circa la coincidenza fra Europa e comune è dunque che le elezioni di domenica 25 maggio dicono nell’evento ciò che è già presente prima e dopo l’evento: si sta vivendo uno straordinario metissaggio culturale. Le amministrazioni locali saranno buone amministrazioni se riusciranno a essere un po’ “europee” e un po’ “globalizzate”, aperte non tanto ai gemellaggi di altri tempi, quelli che si andava a cercare all’estero, cose tutto sommato facili, ma ai gemellaggi che avvengono in casa. Se si riuscirà a costruire qualche buona occasione per convivere meglio i nostri comuni sopravviveranno bene. Se l’amministrazione locale si limiterà a ringhiare contro “gli altri”, è facile prevedere che rischierà di esplodere. Dunque, si potrebbe sintetizzare, dicendo che il buon comune è europeo.
La seconda considerazione è molto legata alla prima. Una volta vinte le elezioni, i vari Grillo, Renzi, Alfano e compagnia che sono piovuti dalle nostre parti serviranno poco. Spesso, nei loro comizi, hanno parlato di tutto fuorché di Bergamo. Figuriamoci degli altri comuni molto più piccoli – e più sconosciuti – del capoluogo. Gli amministratori dovranno amministrare: la battuta sarebbe piaciuta al signor Lapalisse. Ma è vera: gli amministratori, cioè, dovranno costruire strutture, servizi, legami che fanno quel comune, in quel territorio, con quella gente. Se il buon comune prende atto delle diversità arrivate sul suo territorio, il buon comune aiuta aiuta poi quelle diversità a radicarsi bene lì dove si trovano. Se il buon comune diventa europeo, la “buona” Europa diventa comunale.
Non è una scommessa facile, ma è affascinante.