Lo smartphone? Per i ragazzi è come un amico

Tra i giovani europei sembra emergere sempre più una “dipendenza affettiva dallo smartphone”. È quanto affermano nel loro ultimo report i ricercatori del progetto “Net Children Go Mobile”, finanziato dal “Safer Internet Programme” della Commissione europea. Il progetto ha coinvolto 3.500 ragazzi, tra i 9 e i 16 anni, in sette Paesi europei: Danimarca, Italia, Regno Unito, Belgio, Irlanda e Portogallo. Secondo gli ultimi dati, diffusi in Italia da OssCom, Centro di ricerca sui media e la comunicazione dell’Università Cattolica di Milano, il 79% dei ragazzi che hanno uno smartphone dice di sentirsi in dovere di essere sempre raggiungibile dagli amici e dalla famiglia, il 52% afferma di sentire spesso un forte bisogno di controllare il cellulare e il 43% si sente a disagio quando non lo può controllare perché non c’è campo o la batteria è scarica. Il Sir ne ha parlato con la coordinatrice italiana del progetto, Giovanna Mascheroni.

Quali sono le implicazioni per i minori di questa “dipendenza affettiva”?

“Già da alcuni anni le ricerche hanno evidenziato come il telefono cellulare sia lo strumento delle relazioni intime, specialmente per gli adolescenti che vivono una fase in cui devono sempre essere in collegamento con le reti dei pari. Questo essere sempre raggiungibili e sempre in contatto viene considerato come una forma di appartenenza. Un fenomeno amplificato da applicazioni come Facebook o WhatsApp”.

Quello a cui stiamo assistendo è solo un cambio di mezzi o vi è un cambiamento, verrebbe da dire “antropologico”, nel modo di vivere le relazioni?
“Per gli adolescenti il cellulare è lo strumento del passaggio dalla sfera della famiglia alla rete dei pari, uno strumento fondamentale della costruzione dell’identità. Anche le relazioni tra gli adulti in un certo senso sono cambiate perché ci sentiamo sempre più spesso ma per meno tempo e le comunicazioni sono molto più intermittenti”.

Di fronte a questo scenario quali opportunità e quali rischi?

“Potrebbe sembrare strano, ma gli elementi di opportunità sono legati ad esempio all’utilizzo di WhatsApp e Facebook per fare i compiti: i minori collaborano molto di più e iniziano ad ipotizzare anche degli utilizzi didattici dello smartphone anche se, nella maggioranza dei casi, non sono autorizzati ad utilizzarli a scuola. Per quanto riguarda i rischi, i ragazzi sono i primi ad essere consapevoli di come il ritmo della comunicazione sia a volte eccessivo e insostenibile. Un ragazzo mi raccontava di come si sia accorto di essere ‘dipendente’ solo quando, a causa di un furto, ha dovuto fare a meno dello smartphone”.

Quali possono essere gli strumenti per ridurre questo abuso?
“È una questione di educazione. In realtà dovremmo tutti, non soltanto i minori, abituarci all’idea che non rispondere immediatamente a un messaggio non è una tragedia. Purtroppo siamo noi adulti, per primi, ad essere sempre connessi. Una pressione che viene aumentata dalla possibilità, concessa da queste nuove applicazioni, di sapere quando l’altra persona visualizza il nostro messaggio. Questo amplifica ulteriormente la velocità della comunicazione fino a ritmi difficili da gestire”.

Quale ruolo educativo possono svolgere genitori che sono anch’essi “dipendenti”?
“Credo che questa debba diventare una nuova occasione di confronto tra genitori e figli per darsi delle regole comuni: ad esempio, che non si usa il cellulare durante la cena. I ragazzi quando raccontano di queste regole non le mettono in discussione. Il dialogo e regole condivise, fissate insieme e non imposte, possono essere una soluzione”.

Crede che questo eccesso di velocità nella comunicazione possa portare all’incapacità dei ragazzi nel vivere forme più lente di comunicazione?

“I contesti comunicativi cambiano, ma non credo ci sia questa deriva drammatica. I ragazzi con cui lavoriamo dimostrano di poter restare a parlare a lungo senza grossi problemi. Se si parla con gli insegnanti dicono, invece, che cambia il modo in cui i ragazzi si esprimono, soprattutto nella scrittura. Ma questa è una preoccupazione che era già presente quando si diffusero gli sms”.

Pensa sia necessaria una maggior regolamentazione nell’utilizzo degli smartphone a scuola?

“Non credo sia un problema di regolamentazione, perché anche se ne proibiamo l’utilizzo, i ragazzi lo usano di nascosto. Credo che questo sia un approccio sbagliato. Ci sono Paesi come la Danimarca in cui gli smartphone sono integrati nell’attività didattica e questo permette di dare un messaggio diverso: sono strumenti che possono essere usati per cercare informazioni, fare ricerche, proporre contenuti. In realtà bisogna ripensare l’uso degli smartphone nella scuola, senza proibirlo, ma proibendo piuttosto certe attività”.