Mondiali di calcio. Ma non è solo calcio

Argentina o i padroni di casa del Brasile? E se, rispettando il fattore campo, facesse il colpaccio un’altra sudamericana, tipo Colombia o Uruguay? Ma le europee – Germania e Spagna in testa – riusciranno a dire la loro? Infine l’Italietta, con quell’attacco un po’ leggerino, affidato alla classe ma anche agli instabili umori di Balotelli: a meno che i due simpatici scugnizzi Immobile e Insigne…

CALCIO E MOLTI SOLDI. IN BARBA ALLA CRISI

A poche ore dal calcio d’inizio, i Mondiali lasciano pregustare agli appassionati gol, emozioni, colori. Sarà una festa globale, mundialismo allo stato puro, appunto. Il calcio distribuisce le medesime tinte forti a tutte le latitudini. Incredibile come questo sport il cui segreto è probabilmente la semplicità riesca a restare se stesso in Africa come in Australia.
E l’evento dell’anno snocciola numeri impressionanti. Chi vince incassa 27 milioni. Montepremi totale 349 milioni, più ricco del 12 per cento rispetto al Sudafrica di 4 anni fa. Solo nel 1998, a Parigi, la Francia s’aggiudicò il titolo guadagnando meno di 6 milioni (anzi, c’erano ancora i franchi). Ma il calcio, col suo business, della crisi se ne frega. Forbes, la rivista americana d’economia, fissa in 4 miliardi di dollari il valore della rassegna. Qui siamo a un incremento del 66 per cento, addirittura. In soli 48 mesi. La Fifa incamera la metà. Chi paga? Diritti tv e marketing (Adidas, Emorates, Coca Cola, Sony, Visa). E’ il mercato. L’ultima finale – Spagna- Olanda – l’hanno vista in tv in 900 milioni. Rimane un punto interrogativo. E’ giusto sacrificare ogni regola alle leggi del mercato?
Ma alta tensione, che caos a San Paolo. Metro bloccata, code pazzesche (250 chilometri complessivi, giovedì scorso). I moto-taxi sulla cresta dell’onda, le due ruote come unica via di fuga. La megalopoli della partita d’esordio (Brasile- Croazia, giovedì 10 ore 22 di Roma) in tilt. Scioperi a gogò, il trasporto pubblico a singhiozzo. I lavoratori chiedono salari più alti, il Mondiale strumento di pressione.

NON SI VIVE DI SOLO CALCIO. NEANCHE IN BRASILE

L’altra faccia della medaglia. I brasiliani – sebbene il calcio sia un po’ l’essenza della loro vita – reclamano investimenti nella sanità e nell’istruzione. Invece di spendere 11 miliardi di dollari per l’organizzazione dei Mondiali. Più i miliardi delle Olimpiadi del 2016. Se la popolazione tradisce perfino il pallone, significa che i problemi – e non potrebbe essere diversamente, in un grande Paese come il Brasile – sono drammaticamente quotidiani.
Sicché, a testimonianza del clima d’insofferenza, le contrapposizioni sono all’ordine del giorno. Ronaldo, l’ex interista, ha detto che i vandali delle proteste (a lui sono andati sotto casa col megafono) andrebbero presi a randellate. Chi ha la pancia piena tende spesso a prendere a schiaffi la povertà.
Dilma Russell, la presidente del Brasile, è giudicata fra le 5 donne più potenti del mondo. A ottobre ci sono le elezioni. Decisivo, per il suo prestigio in campo internazionale, che i Mondiali, da lei stessa voluti per ovvi motivi, siano un successo. Eppure Dilma viene dalla sinistra, quella estrema. Negli anni Settanta fu torturata, in opposizione alla dittatura militare. Ora è attaccata dai leader sindacali. Un vero corto circuito. Al punto che, paradossalmente, le urne potrebbero punire la sua megalomania.
Il vento della politica spira costantemente nella direzione dell’interesse personale (presunto). Allargare la forbice fra chi ha troppo e chi troppo poco si rivela alla lunga un boomerang in quanto il confronto diventa umanamente insopportabile. Eppure in un recente dibattito televisivo qui in Italia il direttore di un giornale sosteneva che bisogna fare il tifo perché i ricchi continuino ad esserlo (anzi, lo siano di più)j. Errore madornale (e fatale). Ma, una volta al potere, ci cascano quasi tutti.