Beato Paolo VI

La notizia è passata in sordina, più di quanto avrebbe a mio avviso meritato: Paolo VI sarà proclamato beato domenica 19 ottobre. Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto sul miracolo attribuito alla sua intercessione. E dunque c’è stato il via libera ad una causa durata vent’anni: iniziata il 26 aprile 1993 si è conclusa nel pontificato di Ratzinger il 20 dicembre 2012 con la promulgazione del decreto sulle virtù eroiche.

UN PAPA POCO CONOSCIUTO

E’ l’esito di un percorso non agevole nei confronti di un Papa ancora troppo poco conosciuto: schiacciato, direbbe Alberto Melloni, dall’enorme Giovanni Paolo II e da Giovanni XXIII. Un Pontefice non facile da conoscere in un tempo di terribili semplificatori, perché complesso, articolato, variegato, non grande comunicatore. Certo non era uomo dei gesti televisivi, quanto piuttosto, da uomo colto qual era, dei simboli e dei gesti singolari: l’abbraccio a Gerusalemme con Atenagora, patriarca di Costantinopoli, la ritrattazione delle scomuniche, il bacio ai piedi del metropolita Melitone, la rinuncia alla tiara per sensibilizzare Chiesa e mondo nei confronti dei Paesi poveri. Fu il Papa dell’enciclica Humanae Vitae sulla contraccezione ma anche il Papa della Chiesa del dialogo col mondo (Ecclesiam Suam), di un cattolicesimo capace di discernimento e di profezia sul mondo (Populorum Progressio) ed anche del legittimo pluralismo politico dei cattolici (Octogesima Adveniens). Il primo Papa a parlare dal “podio” delle Nazioni Unite a favore della pace e del disarmo.

IL PAPA DEL CONCILIO

Ma, soprattutto, Paolo VI è stato il Papa che ha portato a termine il Concilio Vaticano II, che ha iniziato la riforma liturgica, e che ha chiuso le porte all’irredentismo dei tradizionalisti lefebvriani. In ogni caso, Paolo VI, uomo mite e riservato, dalla profonda vita spirituale, intellettuale raffinato cresciuto nell’amicizia con alcuni grandi intellettuali francesi, ha dovuto condurre in porto l’avventura conciliare. Eletto dopo la prima sessione del Concilio è riuscito nell’impresa di concluderlo con i documenti votati praticamente all’unanimità. Ha dovuto gestire la fase ardua della traduzione conciliare che ha coinciso con una stagione civile ed ecclesiale di grande fermento accompagnata, in alcuni casi, da contestazioni corrosive anche all’interno della stessa comunità cristiana. Ha ragione Massimo Faggioli quando scrive che «in questo senso, non stupisce che Paolo VI fosse, fino all’elezione di Francesco l’anno scorso, il Papa più dimenticato nella storia della Chiesa recente: non solo perché “troppo conservatore per i progressisti, troppo progressista per i conservatori”, ma colpevole di aver fatto del Vaticano II – certamente, della sua interpretazione del Vaticano II come ultimo vescovo-Papa del Concilio – un riferimento primo del pontificato».

Per Faggioli Papa Francesco è venuto a recuperare Papa Montini dall’oblio sotto due aspetti: un montinismo teologico, fatto di parole fino a pochi mesi fa tabuizzate da certi cenacoli teologico-politici neo-conservatori come dialogo, mediazione, inculturazione; un montinismo politico, che vede nella politica una vocazione precisa dei cristiani, e non una casta da cui prendere le distanze secondo le convenienze (non solo politiche, ma anche intellettuali).

UN CRISTIANESIMO ESSENZIALE

«I cattolici sono talora pigri e meschini: tutto per loro è facile, tutto è risolto e raggiunto. Noia e ripetizione avvolgono la loro preghiera: ignobili scopi economici vi bruciano ancora un incenso, che sa di vecchio, di inutile, miserabile vita spirituale… Abbiamo parlato di cristianesimo essenziale, non per scompaginare l’integrità o per deprezzare le molteplici forme in cui s’è storicamente sviluppato, ma per risalire devotamente alle sue intime e feconde sorgenti: la Bibbia, il dogma, le virtù teologali, la liturgia, la gerarchia della Chiesa, i sacramenti, l’apostolato cristiano. La fede per molti è ignara delle basi dogmatiche e storiche del cristianesimo, la vita religiosa delle classi colte in Italia tende a un vago sentimentalismo di famiglia, di razza, disposto più facilmente ad annettere queste forme di cristianesimo privo di lineamenti precisi e accurati» (Giovanni Battista Montini, 1930).