Gabrielle e le “barriere architettoniche” dell’amore

“Vorrei decidere della mia vita come te, vorrei essere normale come te”. A dirlo all’amata sorella è Gabrielle, una giovane coraggiosa e forte, ma segnata da un leggero ritardo mentale e dal diabete che non le consentono di essere completamente autonoma.
Gabrielle ha un sorriso radioso e un talento spiccato per il canto ed è una delle colonne portanti del coro “Le Muses di Montreal” che frequenta insieme ad altri ragazzi disabili, ospiti, come lei, di una casa famiglia. Quando si innamora, ricambiata, di Martin, un compagno di coro che ha i suoi stessi problemi, vorrebbe poter esprimere questo sentimento e goderselo come qualunque altro adolescente. Ma questo, forse, non è possibile, o meglio, diventa molto difficile quando a decidere a loro posto sono gli assistenti sociali e le famiglie. Gabrielle e Martin imparano che l’amore, per loro, è una possibilità più remota che nelle vite cosiddette “normali”. Il rapporto tra i due giovani è infatti ostacolato soprattutto dalla madre di Martin, eccessivamente protettiva e convinta che il figlio non possa condurre una vita “normale” perche “normale” non lo è. La donna cerca quindi di rompere sul nascere il dolce legame tra i due e decide di separarli. Commovente, invece, è il personaggio della sorella di Gabrielle, Sophie, un vero angelo custode, sensibile, amorevole, lacerata dalla difficile scelta che le si presenta: raggiungere il fidanzato che si trova in India in missione umanitaria, coronando il suo sogno d’amore, oppure rimanere a casa e stare accanto all’adorata e fragile sorella, che per molti aspetti dipende da lei. Gabrielle, caparbia e spontanea, cerca con tutte le sue forze di affrancarsi dal controllo e dalle attenzioni, seppur affettuose, di Sophie e degli assistenti sociali, per vivere la sua passione con Martin. L’occhio della regista, la canadese Louise Archambault, non si sofferma mai sulla “diversità” di Gabrielle, pare non la consideri tale; anche se, quando la giovane decide di dimostrare alla sorella di potersela cavare da sola ed essere indipendente, fallisce miseramente.
Ma in questo caso l’ottica è radicalmente diversa da quella con cui di solito viene affrontato un tema come la disabilità, perché la regista mette in luce soprattutto i tentativi di Gabrielle di superare il gap che la distingue dai cosiddetti “normali” per vivere la propria esistenza liberamente. Particolarmente apprezzabile il fatto che queste difficoltà vengano affrontate senza inutili pietismi né ipocrisia, ma sottolineando che la libertà è un diritto di ogni essere umano. Ma fino a che punto – si chiede e ci chiede il film – possono essere lasciate libere di decidere persone che, oggettivamente, se rimangono da sole mettono a rischio la loro stessa incolumità? Diventa sottile e sfumato il confine fra apprensione ed egoismo, sensibilità e cinismo, e in questa terra di confine oscilla il tessuto narrativo, crudo e nello stesso tempo emozionante. Forse il più emblematico scambio di battute avviene fra la mamma di Martin e la sorella di Gabrielle, quando i due giovani vengono sorpresi in atteggiamenti affettuosi in camera da letto nella casa famiglia. La madre del ragazzo, quasi scandalizzata, chiede a Sophie: “Ma Gabrielle non è stata sterilizzata?”. La ragazza, sconvolta, risponde: “Perché dovrebbe? Martin forse ha subito la vasectomia?”. Se ci pensiamo quello fra Gabrielle e Martin è tutt’altro che un amore “fuori dal coro”, in realtà è spiazzante per quanto sia ordinario. I due giovani sono semplicemente mossi dal desiderio di completarsi tramite il sentimento dell’amore, che appartiene ad ogni essere umano. Ma forse in questo campo esistono barriere architettoniche invisibili ma non per questo meno potenti. E non sono fatte di gradini livellati, ascensori speciali o pulsanti luminosi, sono dentro di noi. Nel nostro cuore, e per questo ancora più difficili da superare.