Gli oselì scapàcc di nonna Bettina. E i ricordi di quando la merenda era pa’ e passà fò

Nonna Bettina, classe 1928, ultimogenita di una famiglia di mezzadri che contava cinque maschi e tre femmine. Occhi chiari, capelli ricci arricchiti dalla permanente, camicetta estiva e rigorosamente in gonna (“i pantaloni? mai messi in vita mia”).

Questo l’identikit della nostra cuoca, e di cuoca si può parlare perché nonna Bettina cucina piatti spettacolari come fossero una banale normalità.

“Baccalà in umido? Polenta e osèi? Trippa? Bazzecole, mischi due ingredienti ed è pronto”.

Oggi nonna Bettina ci mostra la ricetta degli Oselì scapàcc, ma non la ricetta classica: “questi uccellini li facciamo un po’ più grassottelli” mi dice, e così prende pangrattato, prosciutto, uova e formaggio.

“Quand’ero giovane non mangiavo mai” mi racconta. “Non avevo fame. E anche ad averne, c’era poco da mandar giù. Pane, un uovo, qualche frutto se era stagione. Per merenda c’era pà e passà fò: mia mamma ci dava un pezzo di pane e ci mandava nel campo. Uva, mele, pere, cachi… secondo la stagione qualcosa si trovava. Il nonno se la passava peggio: viveva in paese e non aveva terreno da coltivare. Seguiva un negoziante di frutta e verdura che lo ospitava a pranzo e gli serviva sempre la testa di coniglio bollita. Sapeva che al nonno non piaceva, ma gliela dava comunque, sperando la lasciasse indietro e potesse mangiarla lui”.

Mentre racconta fa lavorare le mani.

“Ai miei tempi non c’era niente”, alza le spalle. “Non si comprava niente, non si buttava niente. Si andava avanti”.

Lo dice con una naturalezza che mi fa riflettere. Penso come siamo giunti all’insaziabilità del mondo moderno, alla frustrazione figlia dell’inappagamento, all’accanita ricerca del benessere che diviene stressante inquietudine.

“Vedi qui?” continua lei che di tutto ciò che accade nel mondo sa solo che prende la minima e non arriverebbe a fine mese se non grazie ai risparmi di una vita. “Più che uccellini sono piccioni” ride. “Gli oselì scapàcc dovrebbero essere piccoli, ma questi sono altri tempi”.

I tempi dei Suv, degli smartphone, della televisione, degli elettrodomestici, dei computer, dei centri commerciali aperti la domenica, dei vestiti per i cani. I tempi in cui comprare da mangiare costa meno che farlo a casa. Avrei bisogno dei suoi occhi per percepire lo sfarzo e trarne eccessi e controsensi.

“Aggiungo un po’ di panna”.

“Ci va anche quella?”

“No, mi è avanzata l’altro giorno. Vedrai che gli dice buono”.

Ha ragione. Non compra e non butta niente. Oggi si compra e si butta tutto. La riparazione non è più contemplata.

“E il contorno”, chiedo. “Polenta?”.

“Quando si faceva polenta e sardine, si appendeva una sardina sopra il tavolo, si prendeva la polenta con le mani e la si appoggiava sulla sardina per fargli prendere sapore. Un solo pesce bastava per tutti”.

La polenta non è un contorno, vuole dire. In sessant’anni il piatto principale è divenuto contorno, l’essenziale superfluo, una svalutazione di prodotti e valori che ci sta condannando alla perpetua insoddisfazione.

“È pronto” sorride la nonna. “Scatta una foto, ma solo al piatto”. Le fotografie non le piacciono. Troppo moderne. Avessimo avuto anche noi pà e passà fò, forse ci lamenteremmo meno e faremmo andare le mani, come la nonna. Forse.

Ingredienti

-Due pani raffermi

-Qualche foglia di prezzemolo

-Cinque cucchiai di formaggio grattugiato

-Tre fette di prosciutto cotto

-Un uovo

-Una spiga di aglio

-Spezie miste e sale q.b.

-Due mestoli di brodo vegetale

-Quattro fette di fesa di vitello

-Burro, salvia e vino bianco.

 

Procedimento

1) Mettere il pane, il prezzemolo, l’aglio, le spezie, il formaggio e il prosciutto nel tritatutto (quello che la nonna chiama robotì) finché il composto diventa omogeneo.

2) Unire l’uovo e il brodo fino a quando l’impasto tiene lavorandolo con le mani.

3) Stendere la fesa di vitello e farcirla con il composto formando degli involtini. Premerli bene alle estremità per assicurarsi che il composto non fuoriesca durante la cottura.

3 e mezzo) Se vi avanza il composto, aggiungetegli un altro uovo e usatelo per fare polpette di pane di accompagnamento.

4) Cuocere con burro e salvia in una padella dai bordi bassi, adagiando gli involti prima dal lato della giuntura, per sigillarli senza usare gli stuzzicadenti.

5) Sfumare col vino bianco e fare cuocere a fuoco lento.

6) La nonna ha trovato nel frigorifero due cucchiai di panna avanzata. Mi dice che non si dovrebbe, ma li aggiunge in padella. Fanno un po’ di sughetto in più.

7) Servire con un’insalatina di valeriana condita con olio sale e pepe.