Il pane del cielo e la fraternità della terra

In quel tempo, Gesù disse alla folla: 
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (Vedi al Vangelo di Giovanni 6 51-58. Per leggere i testi liturgici della Festa del Santissimo Corpo e Sangue del Signore, clicca qui)

«Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?», si chiede Paolo nella seconda lettura della messa di oggi. Il calice della benedizione era il terzo calice che veniva usato durante la cena pasquale ebraica.

L’UNITÀ CHE VIENE DALL’UNICO PANE

Tutta la frase di Paolo rivela un carattere profondamente comunitario della celebrazione. L’idea di una “comunione” vuole indicare un’unità profonda, come quella descritta da Giovanni nel vangelo, illustrata bene dall’immagine del “rimanere in me”, della comunione misteriosa e ineffabile fra il Signore e coloro che mangiano la sua carne e bevono il suo sangue.

«Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane», dice ancora Paolo. Il pane è uno solo: lo stesso pane viene mangiato da tutti. Di conseguenza anche il corpo è uno solo. L’unità del pane rimanda all’unità del corpo. Viene in mente, a questo proposito, una frase famosa della Didaché, una delle più antiche opere cristiane, quasi contemporanea al vangelo di Giovanni. Il libro “istruisce” il celebrante e gli dice di pregare così sopra il pane da consacrare: «Come questo pane spezzato, disperso sui colli, è stato raccolto ed è diventato una cosa sola, così la tua chiesa si raccolga dai confini della terra nel tuo regno».

RICORDATI. NON DIMENTICARE

«Ricordati… Non dimenticare», raccomanda Mosè al popolo. L’esercizio della memoria, la preoccupazione di non dimenticare ci è preziosa. Proviamo a immaginare quanti eventi della nostra vita di credenti dovrebbero essere sempre ricordati, non dovrebbero mai essere dimenticati. Non dimenticare che è il Signore che ha fatto tutto. Ciò che sei è dono suo. Tutto è grazia, tutto. È dono suo anche il mangiare il suo Corpo e il bere il suo sangue. Solo così, accettando questo dono, accettando tutto quello che abbiamo come dono, “restiamo in lui”, “dimoriamo in lui”, “abitiamo con lui”.

Tutto ci è donato dunque: è Dio che ci chiama e ci convoca. Anche l’unità fraterna “discende dall’alto”. Ci viene in mente un passaggio straordinario di Dietrich Bonhoeffer: «Si dimentica facilmente che la comunione con fratelli cristiani è un dono della grazia del Regno di Dio, che può esserci tolto ogni momento, che passerà forse solo un breve tempo prima che siamo gettati nella più profonda solitudine. Perciò, chi fino da ora può godere di una vita cristiana insieme con altri cristiani glorifichi la grazia di Dio dal più profondo del suo cuore e ringrazi Dio e riconosca che è grazia, null’altro che grazia se oggi ancora possiamo vivere in comunione con fratelli cristiani» (da .

L’UNITÀ CHE SALE DALLA TERRA

Ma l’unità “discesa dall’alto” chiede l’unità fraterna fra coloro che hanno mangiato il pane degli angeli. Paolo scrive la sua lettera ai Corinzi perché in quella comunità succedevano dei disordini. L’eucarestia avveniva durante una normale cena. Ora, durante la cena, i ricchi mangiavano abbondantemente e i poveri non avevano il necessario. Paolo reagisce duramente: quello stile di vita era la negazione del rito eucaristico. Se si è fraterni nel rito bisogna esserlo anche nella vita e quindi anche nel pasto. Interessanti e interminabili conseguenze di questo principio… Così il pane disceso dall’alto non ci fa uscire dalla vita, ma ci fa rientrare. Più si mangia quel pane più si deve vivere da fratelli.