Il Papa scomunica i mafiosi: e non dite che sono “solo parole”

«Questi uomini, i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati». Niente mezzi termini, niente giri di parole: la condanna alla criminalità organizzata da parte di Papa Francesco arriva così, come una pietra scagliata in faccia a quel sistema che nel corso dei decenni ha trovato nell’abuso della dimensione religiosa la sua investitura popolare. Sono parole forti, che non lasciano adito a dubbi: la mafia è l’antitesi del messaggio evangelico, è il male. E come tale, è fuori dalla Chiesa.

Ma sono solo parole, sostiene qualcuno, perché in fondo cosa sarà mai una scomunica, se non una specie di minaccia in salsa ecclesiastica che, una volta finita l’eco mediatica dell’evento, tornerà a cadere nel nulla? E infatti – accanto ai commenti virtuali di chi è rimasto colpito dalle parole senza scampo del pontefice su uno dei grandi mali del nostro Paese – c’è anche chi sostiene invece che la scomunica non ha alcun valore: “I mafiosi non smetteranno di uccidere adesso che il Papa li ha scomunicati”, “Questa sì che è una minaccia! Ma per piacere. Servono fatti, non parole”, “Questo fa le scomuniche: imbarazzante”, “non serve la scomunica della giustizia di Dio ma la giustizia degli uomini onesti”, e via dicendo.
Tutto vero, anzi, verissimo: le mafie non smetteranno di infettare l’economia, la società e la politica del nostro Paese solo perché il Papa le ha condannate apertamente, e alle parole devono seguire i fatti. Ma siamo davvero sicuri che le parole non abbiano valore, anche solo per il fatto di essere state pronunciate, e pronunciate in pubblico?

Viviamo in una società che ha fatto della parola il suo principale veicolo di comunicazione: status su Facebook, tweet, sms… Viviamo di parole. Ma sono sempre parole dietro ad uno schermo, parole che hanno soppiantato il gesto, il suono della voce, il guardarsi negli occhi. Ci si scrive sui social, si interagisce con giornalisti, politici e religiosi su Twitter, eppure – nella società della comunicazione scarna ed essenziale, più veloce possibile – pronunciare una scomunica a viso aperto contro le mafie, senza fronzoli e senza dare adito a interpretazioni, acquisisce quasi una valenza rivoluzionaria. Proprio perché “sono solo parole”.

Una valenza rivoluzionaria, sì, perché ridona alla parola il suo potere antico e quasi dimenticato: quello di scuotere e di cambiare, quello di segnare una presa di posizione netta e decisa, quello di “contare qualcosa”. Le parole di Papa Francesco contro le mafie non sono “solo parole” perché nel momento stesso in cui sono state pronunciate, ad alta voce e davanti a tutti, sono diventate sì una scomunica per i mafiosi (privati così di quell’aura di sacralità di cui si sono sempre ammantati per giustificare i loro atti abbietti), ma anche un’investitura per tutte le persone che le hanno udite, una richiesta di responsabilità e di presa di coscienza reale. Senza questa investitura, allora è vero che “sono solo parole”: ma credo che tocchi a chiunque le abbia udite tentare di trasformarle in fatti concreti, anziché delegare sempre agli altri.