Riccardo Scandellari: sul web bisogna costruirsi un’identità forte

La reputazione prima di tutto, anche in rete. E la qualità, delle persone e dei contenuti, alla lunga paga. Come rivela, brillantissimo, l’esempio di Papa Francesco, Comunicatore con la C maiuscola. Lo afferma con decisione Riccardo Scandellari, curatore di contenuti, creativo e giornalista, autore di un blog seguitissimo, www.skande.com. Appena uscito il suo “Fai di te stesso un brand” (Dario Flaccovio editore), dove Riccardo spiega (in modo chiaro, diretto e concreto) come si può mostrare il proprio valore attraverso social network e blog, e come trasformare la propria presenza in rete in un’opportunità, anche per trovare lavoro, in tempi molto difficili come questi. Lo abbiamo incontrato a Milano al Social Media Marketing Day.

Come mai ha deciso di concentrarsi sul tema dell’identità e della reputazione su internet?
«Volevo rispondere a un’esigenza che oggi è comune a molti soggetti che si muovono sul web: aziende, persone in cerca di lavoro, professionisti della comunicazione. Chi cerca informazioni in rete, chi deve vagliare curriculum per reclutare personale, chi deve scegliere un partner con il quale avviare un’attività, oggi non si limita alle “dichiarazioni ufficiali” o ai comunicati, ma passa al setaccio anche i social network a caccia di conferma. Tra le qualità più ricercate, infatti, c’è anche la naturale empatia e la capacità di portare l’immagine dell’azienda nei social, perché ormai si è capito che oggi funziona di più una faccia di un marchio».

C’è una forte commistione tra privato e pubblico. I social sono nati per divertimento, oggi però si tende a farne un utilizzo professionale, cosa comportano questa “mescolanza” e questo slittamento di piano?
«I social sono nati proprio per divertimento. Perciò non si può comunicare anche in quel luogo con i metodi classici. La gente va nei social per divertirsi, per conversare, per scambiare opinioni, per incontrarsi. Non dialoga con i marchi, ma con le altre persone. Chi poi è capace di mostrare il proprio valore e i propri talenti può trarne beneficio e avere poi un ritorno anche in termini di prestigio professionale, può riuscire a creare comunità di settore che diventano punti di riferimento riconosciuti. Bisogna essere umani per fare queste cose, le marche non possono dialogare direttamente».

Ognuno di noi diventa grazie alla presenza in internet e nei social un’agenzia di comunicazione. Questo sta trasformando profondamente anche il mondo dell’informazione?
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Siamo diventati tutti delle stazioni informative, il passaparola fa moltissimo. Non è però un fenomeno del tutto nuovo. Nel secolo scorso, quando internet non c’era, le informazioni venivano date da giornali, riviste, televisioni e radio ed erano “a senso unico”, senza possibilità di interazione. Ma nell’Ottocento, e già al tempo degli antichi romani, l’informazione viaggiava sempre con il passaparola, e valorizzando il rapporto tra esseri umani. La stessa cosa sta tornando in auge oggi in modo amplificato attraverso i social network. Io convalido che qualcuno è bravo a svolgere un determinato compito o a offrire un servizio, in questo modo riesco a dargli credito e a farlo lavorare».

Lei vede i social network più come uno strumento o come un continente da esplorare?
«Alcuni li definiscono meta-versi. Qualcuno ha definito Facebook  il secondo continente, con il suo miliardo di utenti è una nazione virtuale seconda solo alla Cina. Secondo me i social sono uno strumento di comunicazione come il telefono, solo che sono talmente veloci e hanno una capacità così forte di aggregare le persone che ci trasformano tutti, come dicevamo, in stazioni informative. Rappresentano una possibilità in più e un amplificatore che ci consente di raggiungere anche chi è lontano e chi non conosciamo».

Il confine tra reale e virtuale si sta assottigliando, anche in rete quello che conta è l’esperienza. Come si fa ad essere testimoni credibili?
«La credibilità e la reputazione sono tutto. Ognuno può raccontare le cose più belle di sé e crearsi una bella immagine, e tutti tendiamo a farlo, ma raccontare bugie, inventarsi competenze che in realtà non si hanno, alla lunga diventa un boomerang: in rete si amplifica anche il discredito quando veniamo scoperti».

Papa Francesco con i suoi selfie ha dimostrato di avere una fortissima attitudine social. Che opportunità rappresenta questo per la Chiesa in questo momento?
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Papa Francesco ha dimostrato di essere un comunicatore con la C maiuscola e di aver capito tutto dello strumento. Riesce a creare una forte empatia necessaria per scalfire la diffidenza e colmare la distanza dal monitor del computer. Possiamo dire molto di noi attraverso quello che scriviamo e attraverso le foto, lui è riuscito a capire come sfruttare questo mezzo e a trasmettere onestà e sincerità. E nel nuovo volto della Chiesa cattolica questi elementi stanno emergendo in modo molto forte. Sotto questo aspetto il Papa è sicuramente un notevolissimo modello. Come spiego nel libro, bisogna essere se stessi perché davanti si hanno delle persone che bisogna trattare con sensibilità e rispetto. Papa Francesco, poi, ha capito anche come si fa ad alzare e abbassare il registro: in rete bisogna saper essere divertenti, perché in questo modo si riescono a volte a far passare messaggi molto complessi. Usando un registro serio verrebbero semplicemente ignorati».

Il rischio è trasformare tutto in un gioco…
«Bisogna mantenere un certo equilibrio, certo, evitare di rendersi ridicoli, mantenendo una serietà di fondo, cercando di essere rilassati e rispettosi. E tenere presente che la conversazione sui social network non è privata: leggono tutti. Bisogna sempre essere consapevoli che i nostri messaggi arrivano lontano, non solo ai nostri amici, non solo a chi ci vede con occhio benevolo. È fondamentale conoscere a fondo lo strumento per usarlo al meglio».