Le unità pastorali

Per intenderci, le unità pastorali non sono una trovata dei nostri Capi diocesani, ma di una realtà prevista dal Codice di Diritto canonico (art. 543): diverse parrocchie gestite in solidum da un gruppo di sacerdoti sotto la guida di un moderatore, che è anche il legale rappresentante tutte le parrocchie dell’unità pastorale. È un passo in più rispetto all’affidamento, già in atto da anni, di più parrocchie ad un unico parroco.

DISCUSSIONI E RESISTENZE

E, come già quel primo passo, anche questo fa discutere e incontra delle resistenze. Ebbene, recentemente io e l’immancabile amico di Belsito siamo stati invitati a partecipare (come esperti???) ad un consiglio pastorale in cui si discuteva proprio di questo. I presenti riconoscevano che siamo ormai avviati verso un’epoca nuova in cui i preti saranno sempre di meno. Si potrebbero fare dei calcoli preoccupanti, abbastanza precisi, sul numero dei preti in diocesi di Bergamo nel prossimo futuro: basta pensare che il numero dei decessi è ogni anno assai superiore alle ordinazioni. In dieci anni abbiamo avuto una sessantina di preti in meno. Tra dieci, tra vent’anni, come sarà il rapporto tra il numero dei preti e quello delle parrocchie?

IL PARROCO FIGURA DI RIFERIMENTO

Ma il tema delle unità pastorali non è legato solo alla diminuzione del numero dei preti, ma è anche un problema di razionalizzare la gestione di un territorio, che sempre meno sopporta la frammentazione. Anche civilmente è in atto una tendenza analoga verso rapporti nuovi tra i comuni. Ma i presenti a quel consiglio pastorale proponevano che la figura del parroco, insieme con quella della parrocchia autonoma, sia mantenuta in tutte le parrocchie dove è possibile, perché all’interno della sua comunità è di rilevanza centrale. Per tutti, il sacerdote è padre, guida, fratello: i laici, pur capaci d’impegno e volontà, sentono di aver bisogno di una figura-guida fissa all’interno della parrocchia. La sua mancanza o il suo declassamento impoverirebbe il cammino pastorale, in maniera lenta ed inesorabile, con il rischio di una disgregazione interna tra i tanti gruppi di volontariato che sono cresciuti nel corso di questi anni. Perciò, l’istituzione definitiva dell’Unità Pastorale si può ritardare, anche per preparare meglio il futuro a partire da Comunità le meno sconcertate possibile.

UN PROGETTO

Il parroco di Belsito e io, invitati a dire da esterni il nostro parere, abbiamo fatto notare che in questo modo si può rischiare di affossare il progetto, secondo un costume abbastanza noto in Italia: rimandare per far dimenticare e poi non fare. Invece, dati i tempi, il progetto appare come improrogabile. I laici presenti sono stati d’accordo riguardo al rischio, e, per evitarlo, si sono dichiarati disposti, nel frattempo, a prepararsi e anche a preparare il terreno, con una proficua gradualità, già fin d’ora e concretamente per un nuovo tipo di organizzazione.

Alla domanda del parroco presidente del consiglio pastorale: che cosa si può proporre nell’immediato? i presenti, che evidentemente si erano ben preparati al dibattito, hanno proposto un progetto per il quale si son dichiarai disposti a dialogare e collaborare. Ecco i punti del progetto, così come io e il Belsito li abbiamo annotati:

1) Continuare il rapporto di collaborazione tra le parrocchie del territorio soprattutto là dove, in qualche misura, è già in atto da tempo.

2) Potenziarlo e consolidarlo, attraverso un’opportuna “catechizzazione” dei parroci della zona che non potranno più limitarsi alla reciproca collaborazione, ma dovranno essere presenti, muoversi e progettare insieme. Naturalmente qualcuno dovrà vigilare tassativamente su questo, perché va detto che, a volte, son proprio i parroci ad essere restii in queste cose. Per questo è utile che i nostri superiori quando nominano un nuovo parroco in una zona suscettibile di diventare unità pastorale, non si limitino a fargli delle pie raccomandazioni, ma gli consegnino un protocollo da adempiere e di cui rendere conto.

3) I consigli pastorali e i consigli degli affari economici delle parrocchie interessate dovranno riunirsi prevalentemente in sedute congiunte invece che separate, per armonizzare bene la vita pastorale (catechesi, caritas, liturgia, iniziative particolari anche di tipo edilizio…) cercando di mettere le basi per un’insieme di pratiche e di usanze che coinvolgano tutte e le parrocchie. Anche su queste riunioni e sulla loro serietà di intenti vigili qualcuno.

4) Che uno dei parroci abbia ufficialmente, magari dopo loro reciproca consultazione, l’incarico di coordinatore del gruppo e delle attività comuni. Il Belsito e io qui abbiamo sottolineato che questo ultimo punto del programma potrebbe essere particolarmente utile per attuare uno dei tipi di unità pastorali indicati nell’apposito “Instrumentum Laboris” [“UP con più parroci (con o senza vicari), tra i quali il Vescovo sceglie un moderatore”]. Avviandosi alla fine della riunione, i presenti, che pure conoscevano l’ “Instrumentum Laboris”, segnalavano che lì è detto proprio quello che essi stavano chiedendo e cioè che «il percorso di istituzione della UP richiederà una gradualità che consentirà a preti, religiosi e laici, di lasciar maturare l’importante cambio pastorale che s’intende attuare». Essi sono convinti che, allo stato attuale delle cose, per varie ragioni, non imputabili sempre a responsabilità laicali, la maggior parte dei parrocchiani delle parrocchie in questione è ancora quasi completamente all’oscuro di questo importante passo da compiere in diocesi. Perciò chiudevano la riunione proponendo come 6° punto del loro programma, tolto sempre dall’In-strumentum Laboris: «l’attuazione d’incontri con le comunità coinvolte per informarle, creare consenso, indicare gli organismi importanti e necessari… come passaggio decisivo in ordine al superamento delle prevedibili staticità e resistenze».

Francamente, noi due, il Belsito e io, siamo convinti di aver partecipato a un signor momento di Chiesa.