CL e la politica. Impegno forte, motivazioni fragili

Mercoledì 16 luglio il Corriere della Sera ha aperto le due pagine della rubrica “Cultura” alla Prefazione che don Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, dedica alla riedizione da parte della BUR di un libretto-intervista di Robi Ronza a don Giussani, già pubblicato nel 1987 con il titolo: “Il movimento di Comunione e liberazione (1954-1986) di Luigi Giussani – Conversazioni con Robi Ronza”. In quelle conversazioni Don Giussani affrontò la semper vaexata quaestio dei rapporti tra cattolici e politica.

I TEMPI D’ORO DI FORMIGONI E DELLA COMPAGNIA DELLE OPERE

Nel 1986 CL era già fortemente radicata nella politica: Movimento popolare, la proiezione politica di CL, era diventato una corrente della DC, si era fortemente legato ad Andreotti, mentre il ramo economico-sociale della Compagnia delle Opere incominciava a muovere i primi passi. Formigoni era già l’uomo politico di punta, già deputato europeo. Giussani scrive: «Una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni e insieme con i quali condivide i problemi… la comunità cristiana non può non tendere ad avere un’idea e un suo metodo d’affronto dei problemi comuni». Ma, «quando dalla fase della sollecitazione e dell’animazione politico-culturale si giunge a quella della militanza politica vera e propria, non è più la comunità in quanto tale ad impegnarsi, ma sono le singole persone che a responsabilità propria… si impegnano alla ricerca di strumenti ulteriori di incidenza politica… C’è fra noi tutti in quanto CL e i nostri amici impegnati nel Movimento popolare e nella DC un’irrevocabile distanza critica». Il testo di Giussani prosegue, ipotizzando che se una qualsiasi realizzazione promossa di uomini rappresentativi di CL diventasse meccanicamente “del movimento”, l’esperienza ecclesiale finirebbe per essere strumentalizzata «e le comunità si trasformerebbero in piedistalli e in coperture di decisioni, che invece non possono che essere personali».

CL IN TRIBUNALE E LE SPIEGAZIONI CHE MANCANO

Le ipotesi che don Giussani scongiurava si sono puntualmente realizzate. Continua a mancare una spiegazione convincente da parte di Carron di quella deriva, che è finita persino nei tribunali, che non si riduca al richiamo all’ ”umana fralezza”. In realtà, ciò che appare fragile è la fondazione teorica di Don Giussani circa il rapporto comunità cristiana e politica così come è labile e insostenibile la distinzione tra le responsabilità pubbliche della comunità cristiana e quelle individuali di suoi singoli esponenti. Intanto, perché la pratica dello stesso don Giussani, soprattutto in occasione delle numerosissime campagne elettorali, è sempre andata in direzione del pieno coinvolgimento della “comunità cristiana” nelle avventure elettorali e politiche dei suoi esponenti. Pratica, che è continuata almeno fino a quando la politica ciellina non si è fratturata al suo interno, cioè fino alle ultime elezioni politiche del 2013. Come è noto, “i santini”, di cui le comunità cielline hanno fatto ampio uso, non sono mai stati dei “piccoli santi”, ma indicazioni di preferenze elettorali. Se una comunità cristiana – non sto parlando della Chiesa universale – fa crescere al proprio interno delle persone, che decidono di portare nell’agone politico la cultura e le motivazioni che la comunità ha elaborato, non è realistico, anzi è farisaico, pensare che la comunità non ne sia coinvolta consapevolmente fino in fondo e non porti le responsabilità della selezione del proprio personale politico. Non è stato Formigoni a decidere di mettersi in politica. Don Giussani ha scelto fin dagli anni ’70 chi dovesse fare che cosa.

POLITICA IN DIFESA DEL BENE DI TUTTI O DEL BENE DEI CRISTIANI?

Ma qui il problema diviene teorico. Quale idea della politica ha spinto i ciellini a impegnarsi in politica? La politica come “forma più alta di carità” o la politica come strumento al servizio della comunità/fraternità, al punto che l’interesse vero o presunto della comunità è superiore al “bene comune” pubblico? La politica che muove da una base di “etica pubblica” oppure tutto è lecito, se aiuta uomini e strutture della comunità, così che l’etica pubblica è semplicemente tacciata di “moralismo”? E’ evidente che dietro questa concezione e pratica della politica come autodifesa della comunità cristiana stanno idee più profonde e radicali circa la modernità come tradimento dell’uomo, come trionfo del nichilismo ateo, come catastrofe e dell’azione cristiana come “reconquista”. La vicenda moderna è considerata un’enorme apostasia da cui rientrare, in primo luogo costruendo mura di difesa attorno alle minoranze cristiane: difesa culturale, sociale, economica contro un mondo ostile. E lo stato d’assedio, si sa, giustifica tutto.

IL PERICOLO DI UN MACHIAVELLISMO CRISTIANAMENTE ISPIRATO

Ne segue che la deriva immoralistica di alcuni esponenti della politica ciellina non è un incidente. Nulla di nuovo, si intende. E’ ciò che da sempre la sinistra ha praticato. Se la sinistra è la salvezza del mondo, tutto è lecito, pur di salvare la sinistra. Machiavelli ci ha già scritto sopra! Conclusione: fare politica è necessario, quale politica e su quali basi è necessario rivedere. Intanto, la mancata riconsiderazione di questo lato della questione e l’imputazione alle singole responsabilità personali di eventuali deviazioni rischia di far diventare CL un movimento spirituale/carismatico, che ha come scopo l’Welfare spirituale dei proprio adepti, concentrati narcissisticamente sul proprio benessere – basta partecipare a qualche scuola di comunità per avvertire il disinteresse per le questioni pubbliche e l’ossessione per la propria dimensione privata. La fede che cambia il cuore dell’uomo e perciò la storia del mondo viene piegata a ricettario New Age, la cui fonte non è più quella nazional-popolare di Padre Pio, ma quella mistica di Medjugorie.