Niente studio, niente lavoro: i Neet, teenager infelici intrappolati nel presente

Non studiano, non lavorano, e sono molto più infelici dei loro coetanei. Sono i cosiddetti Neet, nel 2013 secondo Eurostat 2,4 milioni, pari al 26% dei giovani 15-29 anni (erano il 19% nel 2007: solo Bulgaria e Grecia presentano valori peggiori dei nostri). Un esercito che “rischia ormai la marginalizzazione cronica, caratterizzata non solo da deprivazione materiale e carenza di prospettive ma anche di depressione psicologica e disagio emotivo”, affermano i curatori del “Rapporto giovani”, la grande indagine curata dall‘Istituto Toniolo in collaborazione con Ipsos e il sostegno di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo, per esplorare la preoccupante condizione di questa fascia anche in relazione ai loro coetanei. L‘indagine è stata condotta tra fine 2013 e inizio 2014 su un campione di 2350 giovani di età 19-29 anni. Mentre i “non Neet” si dichiarano abbastanza o molto felici in misura di tre su quattro, tra i Neet il valore precipita: oltre uno su tre tra le donne, e quasi uno su due tra gli uomini, si dichiara per nulla o poco felice. A conferma le risposte sulla “fiducia nelle persone”. In generale è poca per tutti giovani, ma se tra le “non Neet” meno di una su tre afferma che gran parte delle persone è degna di fiducia, tra le Neet si scende a una su quattro. Nelle donne il senso di isolamento è particolarmente avvertito.

“È triste trovare giovani né, né”, ha detto di recente Papa Francesco ai giovani del Molise, parafrasando l’acronimo anglosassone “Neet”. “Tutti noi dobbiamo vincere questa sfida”, ha proseguito: “Non possiamo rassegnarci a perdere tutta una generazione di giovani che non hanno la forte dignità del lavoro”. “Il lavoro ci dà dignità”, ha ripetuto ancora una volta Francesco, “e tutti noi dobbiamo fare tutto perché non si perda una generazione di giovani”. Di qui l’appello alla “nostra creatività, perché i giovani sentano la gioia della dignità che viene dal lavoro”. “Una generazione senza lavoro è una sconfitta futura per la patria e per l’umanità”, ha ammonito il Papa: “Dobbiamo lottare per questo, e aiutarci gli uni gli altri per trovare una nuova via, una via di aiuto, di solidarietà”.

“Non lasciatevi rubare il desiderio di costruire la vostra vita su basi grandi e solide! Non accontentatevi di piccole mete! Aspirate alla felicità, abbiatene il coraggio, il coraggio di uscire da voi stessi e di giocare in pienezza il vostro futuro insieme a Gesù”. Sono gli inviti esigenti rivolti ai giovani dal Papa. “La cultura del provvisorio non esalta la libertà, ma ci priva del nostro vero destino, delle mete più vere ed autentiche”, ha ammonito Francesco, ricordando che “il cuore dell’essere umano aspira a cose grandi, a valori importanti, ad amicizie profonde, a legami che s’irrobustiscono nelle prove della vita anziché spezzarsi”. Ma “da soli non possiamo farcela”: “Di fronte alla pressione degli eventi e delle mode, da soli non riusciremo a trovare la via giusta, e se anche la trovassimo, non avremmo la forza sufficiente per perseverare, per affrontare le salite e gli ostacoli imprevisti”. Per questo serve la “compagnia di Gesù”, che “non toglie autonomia o libertà”, ma “irrobustendo la nostra fragilità, ci permette di essere veramente liberi, liberi di fare il bene, forti di continuare a farlo, capaci di perdonare e di chiedere perdono”. Perché “Dio non si stanca di perdonare”, ha detto il Papa tornando su uno dei concetti-chiave del suo pontificato.