A Bergamo “Il volto”: una rete di periferia. Anziani accanto alle persone più fragili

Vi proponiamo la seconda parte della riflessione sugli anziani e il loro ruolo nella società, il valore del tempo nell’ultima stagione della vita: un tempo di cura, attenzione, veglia, testimonianza. Un tempo comunque prezioso, in cui si può essere attivi e creativi. Anche qui il punto di partenza è un’esperienza concreta: la rete de “Il volto”, un centinaio di anziani che mettono il loro tempo a disposizione dei più fragili.

Alla periferia di Bergamo una rete di un centinaio di persone anziane da diversi anni tiene viva un’esperienza che è all’incrocio tra una banca del tempo e una rete diffusa di prossimità. Da un lato funziona come una discreta e molto concreta rete di veglia sulle condizioni di fragilità, di debolezza, di solitudine e crisi. Rete tenuta viva da chi ha ritmi e tempi di vita lenti, feriali e attenti, percorre le strade a piedi, ascolta. E possiede la capacità di tenuta delle relazioni e di visita nei condomini; sta nei vicinati, nei parchi, nei negozi di quartiere dove si raccontano, incontrano, segnalano le svolte e le fatiche, i silenzi e i bisogni.

La rete de “Il Volto” (questo il nome dal sapore lévinasiano che è stato dato) raccoglie anche le disponibilità di tempi, competenze, risorse, beni utili per tessere accompagnamenti, sostegni, luoghi di incontro, piccole esperienze di sollievo e  vacanza, lavoretti e cure domiciliari.

A Bologna da alcuni anni è nata il “via Fondazza Social Street”, dall’idea di un signore che ha pensato di tessere vicinato e prossimità utilizzando abilità informatiche di base creando un gruppo Facebook. Con un forte successo: 910 persone residenti nella via o legate ai residenti si sono connesse si son presentate e conosciute. Via via hanno cominciato a parlare della loro vita, a scambiarsi consigli, informazioni utili. A organizzarsi meglio, a scambiarsi attenzioni, gesti, disponibilità e presenze. A visitarsi, a prendersi cura di figlie e anziani, a organizzare acquisti solidali e ad offrirsi per piccole manutenzioni, per compagnie, per condividere gusto per il disegno, il ricamo, la musica.

Il nucleo forte operativo è rappresentato da anziani: il quartiere è popolare, ha un’età media elevata, anche se ci sono famiglie giovani con figli. Il “presidio” informatico è di questi giovani adulti, ma la tessitura di gesti usciti da spazi di privatezza e solitudine dentro le vite quotidiane è dei più anziani.

UN TEMPO DI ATTENZIONE, DI VEGLIA E CURA

Forse alla vita anziana è possibile oggi apprendere una forma particolare dell’azione, dell’iniziativa e dell’intenzionalità. Proprio nella stagione della vita caratterizzata dal diminuire, dal declinare, dal lasciare (responsabilità, ruoli, possibilità, capacità, determinazioni) si può apprendere a vivere un’azione che non prova tanto a incidere e trasformare la realtà quanto a garantire una sorta di veglia e di cura, una chiarificazione dei problemi e una riconciliazione.

Un’azione del genere entra nella vita quotidiana come una reinterpretazione ospitale e fraterna dei gesti e degli incontri, delle cose e degli spazi. Questa azione più che proporre, distinguere, costruire, intraprendere è un luogo di attestazione, una riserva di ciò che vale davvero.

Donne e uomini ricchi di anni e di esperienza, di realizzazioni e di confronto con il limite e lo scacco, consapevoli di non controllare e né di poter determinare tutto sviluppano quella che, sulla scia ricoeuriana, potrebbe essere definita una azione deponente. Una azione nel limite, una fioritura di relazionalità, una apertura di novità e recettività. Azione in ascolto avrebbe detto Vincenzo Bonandrini (I giorni e l’evento, Cens, Milano, 1996).

Azione  deponente è quella azione che accompagna e rispetta, senza esercitare una presa troppo forte sulle cose, sulle persone, senza esprimere un desiderio troppo deciso di ricomposizione. Non cerca efficacia, non esprime intenzionalità, controllo tecnico, progettazione: lascia essere, pur se non “lascia stare”. Coltiva, osservare, coinvolge, promuove ed avvia; resta discosta ma non abbandona.

“Depone a favore”, si potrebbe dire, perché mentre agisce mostra e svela ciò che è in gioco. E richiama ciò che è risorsa, ciò che può essere, il desiderio della vita, quella “normale” e quotidiana, anche nelle situazioni prostrate, segnate da ferite e fallimento. Attiva una deposizione “a favore” la esprime nella pratica, nel coinvolgimento. Azione di inizio in attesa operosa di maturazioni.

È una passione paziente, attenta e disincantata, eppure dolce e misericordiosa quella che così si esprime. Da parte di uomini e donne anziani che assumono il rischio e la responsabilità, che rinunciano all’esercizio di forzature che possono farsi violente, che lasciano gli specialismi e le frammentazioni dell’agire utilitaristico. L’impotenza che si sente è accolta e non inacidisce; la pratica è una prova di risposta, di ricerca dentro ciò che la vita ancora offre e chiede.

ESSERE LI’ DOVE SI DEVE. ATTIVI E CREATIVI

Nell’impegno e nell’esperienza di essere presenti a sé, all’altro, nel mondo le persone si trovano ad essere lì dove devono essere: attive e creative, capaci di fare spazio, di far essere, di aprire tempo.

L’azione deponente non prende forza  da una dimostrazione di ciò che è più giusto, o più efficace e conveniente, o migliore. La ricava, invece, dall’attestazione di ciò che credono le persone che la sviluppano. E che mostrano vivendola. Criteri di valore, attenzione all’altro, riconciliazione e incontro: ciò che vogliono attestare le donne e gli uomini si svela in ciò che sono in grado di fare di nuovo, di provare a tessere, indipendentemente dal pieno compimento e senza l’illusione di poter disporre di sé, degli altri e del mondo. Quello che si realizza è attestazione di un reale possibile, e della bontà che porta con sé per le persone coinvolte.

Questo agire è vicino al generare. È anche questione di sguardo: di guardare a come far nascere del tutto ciò che già matura attorno a noi, e che necessita di responsabilità e cura. Contro il nichilismo e l’adattamento sofferto, nel coraggio dell’esistenza.

Attestare è vicino alla capacità di credere e al testimoniare, ne accentua la dimensione costruttiva ed operativa. Attestare, a volte, è sapere bene che non si parteciperà dell’esito, che questo è parte della dimensione dell’offerta, del dono. Della testimonianza di sé: in un’azione che diventa, appunto, consegna. E a volte avvio, solo  qualche volta accompagnamento. Un agire che è un lasciare.