Calcio e dintorni. Carlo Tavecchio: il vecchio che avanza

Due aggettivi, una congiunzione e un avverbio: rozzo e perciò impresentabile. Più che sufficiente per definire Carlo Tavecchio, tuttora candidato alla presidenza della Federcalcio. Pleonastico scomodare termini impegnativi, come razzista. Quell’assurda quanto significativa uscita sui giocatori mangiabanane, solennemente pronunciata con una spontaneità degna di miglior causa, esonererà serie A, serie B e tutte le società di dilettanti (suoi grandi elettori) da spiegazioni approfondite. La condanna senz’appello deriva dallo stile suicida, prim’ancora che dalle parole. A breve scadenza, gli sarà inevitabilmente ritirato l’appoggio. Chi parla di strumentalizzazione – il leghista Salvini, per esempio, che con la sua pungente pur se arrogante e poco divertente ironia commenta: “Ora in Italia sarà proibito vender banane” – è prigioniero degli stessi squallidi luoghi comuni che hanno fatto rovinosamente cadere l’ex sindaco di Ponte Lambro (per 19 anni consecutivi).

A proposito. Meno male che, subito dopo il flop dei Mondiali, s’era ipotizzato il levarsi del vento renziano. In qualità di politico da rottamare, Tavecchio – immutabile padre padrone del calcio minore – sembra possedere il profilo del prototipo. Anzi, a sentire chi deve frequentarlo da sempre – cioè i dilettanti, appunto -, l’inadeguatezza del soggetto si sapeva. Per smascherarla, insomma, non c’era davvero bisogno dell’incriminata conferenza stampa. Eppure i proprietari del pallone l’hanno proposto al vertice. Come hanno potuto? E anche l’opinione pubblica s’è presa le 24 ore di tempo indispensabili per tornare in sé, dopo l’incredulità e lo sbalordimento, prima di reagire.

Resta il fatto che la scervellata scelta mirata a favore di un volgare comiziante da prima repubblica – senza l’incidente di percorso che ne ha svelato la totale inconsistenza – denota compiacimento per l’assoluta assenza d’idee nuove e l’avrebbe pure passata liscia. Mica per altro: diciamolo chiaramente, a parte i dilettanti, Tavecchio chi lo conosce(va)? E proprio perciò sarebbe riuscito. Ma una domanda sovrasta ogni altra curiosità. Se il progetto era di nominare capo Tavecchio e il presidente della Lazio Lotito suo vice, il calcio italiano dove vuole silenziosamente andare? Di solito, in un tandem, uno compensa l’altro. Invece i due – la fedina penale di entrambi più volte consultata – presentano solo punti in comune. Sulla presentabilità di Lotito, chiedere ai laziali in genere, tifosi ed ex giocatori. Senza contare i debiti spalmati, eccetera. Però Lotito è quello che ha tenuto a galla la sua società, acquistata sull’orlo del dissesto. Allora l’obiettivo è continuare così? Sfruttando la popolarità senza offrire in cambio niente?

Mandar via i dinosauri. Anche il pallone indica – clamorosamente – uno dei mali più persistenti d’Italia. Un movimento – il calcio nostrano – in crisi volontaria permanente, se è vero che, più come candidatura di bandiera che altro, a contrapporsi a Tavecchio era timidamente spuntato il solo Demetrio Albertini. Un altro non proprio di primo pelo, ex giocatore da anni nei quadri della Federcalcio senza troppi risultati all’attivo. Presto per dire se sarà lui a questo punto a spuntarla. Già tempo per dubitare che possieda la personalità d’innovatore adatta.
Cesare Malnati